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Tempo distruttore e tempo propizio

02/11/2009

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Tempo amico o tempo nemico? Tempo per vivere o tempo da subire in una corsa di cui abbiamo perso il senso? “Avere tempo” è il lusso contemporaneo, per lo meno nelle società ad alto reddito. Tuttavia, questo “avere”, in sé, non ne qualifica l’uso. E, soprattutto, non ne indica il significato ultimo nella realizzazione della propria vita.
Gli antichi Greci, maestri ineguagliati del pensiero e della parola, distinguevano fra “chrónos”, il tempo fisico che scorre inesorabilmente, e “kairós”, il tempo propizio, il tempo che ci viene accordato perché possiamo crescere in umanità, e fare della nostra esistenza un capolavoro. In un’epoca in cui il tempo è “tiranno”, in cui tutti siamo quotidianamente incalzati da un tempo che non basta mai, merita riscoprire che il tempo-kairós va non solo protetto dalle tante dispersioni con cui a volte lo sperperiamo, ma anche coltivato con amore e gratitudine – verso la vita e, per chi crede, verso Dio – nella ritrovata consapevolezza che ogni ora, ogni istante, hanno un valore unico e insostituibile.
Quale utilizzo ci può far sentire il tempo-kairós come nostro amico e alleato? Senz’altro il tempo in cui riusciamo a essere protagonisti della nostra giornata, e non suoi schiavi (anche quando l’agenda viene fissata da noi stessi). Molto concretamente, esiste uno zoccolo duro di “tempo necessario” alle incombenze del vivere quotidiano, che è variabile a seconda del reddito, dello stato civile e dell’età: le persone con risorse limitate hanno la giornata occupata dalla cura della casa, in senso esteso, e dal lavoro, spesso non piacevole né appagante, per garantirsi il guadagno di sussistenza. Con il crescere delle possibilità – di studio, di scelta professionale, e di reddito – il tempo propizio può aumentare in modo esponenziale. Quando si studia qualcosa che ci appassioni e ci parli al cuore, oltre al cervello, che ci emozioni ed entusiasmi (a scuola, al conservatorio, a teatro), quello è un tempo prezioso ed espressivo, anche quando comporta tanti sacrifici e un’estensione dell’orario di studio ben oltre le otto ore. Lo stesso per il lavoro: chi per intuizione e passione è riuscito a scegliere un lavoro che lo appassioni – sia un artigiano, un insegnante, una parrucchiera, un’estetista, un medico o un artista – può arricchire il proprio tempo professionale di valenze e significati che lo spostino in parte o totalmente dall’area del “vivo per lavorare” a quella del “lavoro perché mi piace, mi dà soddisfazione e mi fa crescere”. Certo, nella passione c’è il rischio dell’eccesso: di ore di lavoro, di dedizione, di amputazione quindi di un tempo buono per altre cose. Soprattutto in tempi di richiesta professionale “performante”, è concreto il rischio che il tempo-passione diventi tempo-ossessione, con tutte le trappole per la salute fisica, emozionale e razionale che questo comporta. Tuttavia, un periodico reinterrogarsi sull’uso del tempo-passione può aiutarci a togliere gli eccessi, a rinegoziare – innanzitutto con noi stessi – che questo tempo resti espressivo: di noi, dei nostri talenti, della ricerca di senso e di compiutezza.
Per tutti, indipendentemente dalla professione, un modo semplice ed efficace per limitare l’eccessivo debordare del tempo di lavoro (quando è appassionante) oltre il giusto, è avere altri interessi o passioni, per esempio un hobby o uno sport, che con la loro forza di piacere, di divertimento, di crescita, di entusiasmo, riescano, quasi da soli, a imporsi nell’agenda personale. Può essere il canto, o il ballo, o suonare uno strumento, oppure uno sport amatissimo, quale la bicicletta, il tennis, l’equitazione o il nuoto, tutti praticabili tutto l’anno, o, ancora, il giardinaggio: siccome quasi tutti noi – con l’eccezione dell’agricoltura e pochi tipi di artigianato – facciamo lavori a basso coinvolgimento corporeo, è addirittura necessario per il nostro equilibrio psicofisico che una parte del tempo sia dedicata a far esprimere al meglio il nostro corpo, per renderlo felice. Può essere seguire figli e nipoti perché ci dà gioia il parlare o il giocare con loro, non perché “bisogna”. E, certamente, il far l’amore con una persona che amiamo e che ci ami appartiene ai fondamentali della felicità fisica e psichica e dell’uso migliore del tempo-kairós. E’ triste invece vedere come un numero crescente di uomini abbiamo bisogno di un sesso trasgressivo, drogato ed esasperato – oltre che potenzialmente autodistruttivo su tutti i fronti, personale, professionale e sociale – perché il loro tempo, anche professionale, è diventato un tempo chrónos, un tempo concitato, alla rincorsa di un potere che non è più espressivo di talenti e qualità, ma servo dell’ambizione fine a se stessa, che gratifica il narcisismo ma non nutre l’equilibrio interiore, che non appaga e non dà gioia. Anzi, che uccide il desiderio naturale e sano, aumentando il bisogno di stimoli “sovramassimali”, perché trasgressivi e/o dopati dalla cocaina, per sentirsi ancora eccitati, perché il corpo possa sentire quel piacere di sentirsi vivo che nella normalità non percepisce più.
Un’ecologia della mente e dell’anima richiede un periodico esame di coscienza – indipendentemente dall’essere laici o religiosi – per fare il punto con noi stessi sul nostro uso del tempo: perché la nostra vita non sia un percorso di smarrimento ma di crescita, di soddisfazione e di piccole e grandi felicità, è indispensabile che la ricerca del tempo-kairós diventi priorità assoluta e che questo tempo occupi uno spazio non negoziabile nella nostra giornata. Con l’obiettivo che non diventi solo un tempo-altro, da affiancare al tempo-chrónos della concitazione e delle corse, ma possa diventare progressivamente un valore intrinseco del tempo quotidiano: specialmente in quelle due stagioni per ragioni diverse potenzialmente magnifiche, l’adolescenza e la vecchiaia.

Autorealizzazione Riflessioni di vita Tempo

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