Gli antichi Greci, maestri ineguagliati del pensiero e della parola, distinguevano fra “chrónos”, il tempo fisico che scorre inesorabilmente, e “kairós”, il tempo propizio, il tempo che ci viene accordato perché possiamo crescere in umanità, e fare della nostra esistenza un capolavoro. In un’epoca in cui il tempo è “tiranno”, in cui tutti siamo quotidianamente incalzati da un tempo che non basta mai, merita riscoprire che il tempo-kairós va non solo protetto dalle tante dispersioni con cui a volte lo sperperiamo, ma anche coltivato con amore e gratitudine – verso la vita e, per chi crede, verso Dio – nella ritrovata consapevolezza che ogni ora, ogni istante, hanno un valore unico e insostituibile.
Quale utilizzo ci può far sentire il tempo-kairós come nostro amico e alleato? Senz’altro il tempo in cui riusciamo a essere protagonisti della nostra giornata, e non suoi schiavi (anche quando l’agenda viene fissata da noi stessi). Molto concretamente, esiste uno zoccolo duro di “tempo necessario” alle incombenze del vivere quotidiano, che è variabile a seconda del reddito, dello stato civile e dell’età: le persone con risorse limitate hanno la giornata occupata dalla cura della casa, in senso esteso, e dal lavoro, spesso non piacevole né appagante, per garantirsi il guadagno di sussistenza. Con il crescere delle possibilità – di studio, di scelta professionale, e di reddito – il tempo propizio può aumentare in modo esponenziale. Quando si studia qualcosa che ci appassioni e ci parli al cuore, oltre al cervello, che ci emozioni ed entusiasmi (a scuola, al conservatorio, a teatro), quello è un tempo prezioso ed espressivo, anche quando comporta tanti sacrifici e un’estensione dell’orario di studio ben oltre le otto ore. Lo stesso per il lavoro: chi per intuizione e passione è riuscito a scegliere un lavoro che lo appassioni – sia un artigiano, un insegnante, una parrucchiera, un’estetista, un medico o un artista – può arricchire il proprio tempo professionale di valenze e significati che lo spostino in parte o totalmente dall’area del “vivo per lavorare” a quella del “lavoro perché mi piace, mi dà soddisfazione e mi fa crescere”. Certo, nella passione c’è il rischio dell’eccesso: di ore di lavoro, di dedizione, di amputazione quindi di un tempo buono per altre cose. Soprattutto in tempi di richiesta professionale “performante”, è concreto il rischio che il tempo-passione diventi tempo-ossessione, con tutte le trappole per la salute fisica, emozionale e razionale che questo comporta. Tuttavia, un periodico reinterrogarsi sull’uso del tempo-passione può aiutarci a togliere gli eccessi, a rinegoziare – innanzitutto con noi stessi – che questo tempo resti espressivo: di noi, dei nostri talenti, della ricerca di senso e di compiutezza.
Per tutti, indipendentemente dalla professione, un modo semplice ed efficace per limitare l’eccessivo debordare del tempo di lavoro (quando è appassionante) oltre il giusto, è avere altri interessi o passioni, per esempio un hobby o uno sport, che con la loro forza di piacere, di divertimento, di crescita, di entusiasmo, riescano, quasi da soli, a imporsi nell’agenda personale. Può essere il canto, o il ballo, o suonare uno strumento, oppure uno sport amatissimo, quale la bicicletta, il tennis, l’equitazione o il nuoto, tutti praticabili tutto l’anno, o, ancora, il giardinaggio: siccome quasi tutti noi – con l’eccezione dell’agricoltura e pochi tipi di artigianato – facciamo lavori a basso coinvolgimento corporeo, è addirittura necessario per il nostro equilibrio psicofisico che una parte del tempo sia dedicata a far esprimere al meglio il nostro corpo, per renderlo felice. Può essere seguire figli e nipoti perché ci dà gioia il parlare o il giocare con loro, non perché “bisogna”. E, certamente, il far l’amore con una persona che amiamo e che ci ami appartiene ai fondamentali della felicità fisica e psichica e dell’uso migliore del tempo-kairós. E’ triste invece vedere come un numero crescente di uomini abbiamo bisogno di un sesso trasgressivo, drogato ed esasperato – oltre che potenzialmente autodistruttivo su tutti i fronti, personale, professionale e sociale – perché il loro tempo, anche professionale, è diventato un tempo chrónos, un tempo concitato, alla rincorsa di un potere che non è più espressivo di talenti e qualità, ma servo dell’ambizione fine a se stessa, che gratifica il narcisismo ma non nutre l’equilibrio interiore, che non appaga e non dà gioia. Anzi, che uccide il desiderio naturale e sano, aumentando il bisogno di stimoli “sovramassimali”, perché trasgressivi e/o dopati dalla cocaina, per sentirsi ancora eccitati, perché il corpo possa sentire quel piacere di sentirsi vivo che nella normalità non percepisce più.
Un’ecologia della mente e dell’anima richiede un periodico esame di coscienza – indipendentemente dall’essere laici o religiosi – per fare il punto con noi stessi sul nostro uso del tempo: perché la nostra vita non sia un percorso di smarrimento ma di crescita, di soddisfazione e di piccole e grandi felicità, è indispensabile che la ricerca del tempo-kairós diventi priorità assoluta e che questo tempo occupi uno spazio non negoziabile nella nostra giornata. Con l’obiettivo che non diventi solo un tempo-altro, da affiancare al tempo-chrónos della concitazione e delle corse, ma possa diventare progressivamente un valore intrinseco del tempo quotidiano: specialmente in quelle due stagioni per ragioni diverse potenzialmente magnifiche, l’adolescenza e la vecchiaia.