«Terremoto: non posso più tornare a casa!». Una delle poche consolanti certezze della vita viene minata dal terremoto, paradigma temibile dei cataclismi naturali, ancor più se le scosse continuano a ripetersi a distanza di giorni, settimane o mesi. Facendo dell’eccezione una regola dolorosa e insidiosa, come sta succedendo nelle amate regioni dell’Umbria e delle Marche. L’impossibilità, all’inizio temporanea, rischia di diventare definitiva, dominando non solo il presente ma anche il futuro.
Con quali conseguenze di dolore, di insicurezza, di stress, di sofferenza psicologica e cerebrale a lungo termine? L’impossibilità di rientrare a casa, per un evento naturale traumatico e incontrollabile, come un terremoto o un’inondazione, mina il bisogno primario di ogni essere umano: il bisogno insieme di un amore che abbia solide radici, la famiglia in primis (bisogno di “attaccamento affettivo”), e di un luogo – la casa, la terra – a cui appartenere. Una certezza emotiva che cresce nutrita dall’affetto di parenti e amici e ritrova nella casa il luogo principe della vita della famiglia: “dove abita il cuore”, dove affondano e si attaccano le nostre radici.
Le conseguenze dello sradicamento violento causato dal terremoto sono diverse, complesse e gravi. Dal punto di vista fisico, la scossa scatena una violentissima scarica di adrenalina, che attiva in un secondo il sistema di allarme per la sopravvivenza: cuore a mille, respiro accelerato, allerta dei muscoli, vasocostrizione periferica. Il corpo si prepara alla fuga. Se la scarica di adrenalina è violenta al punto da causare panico e angoscia fino a un vero terrore, il corpo può venire congelato nell’immobilità, “pietrificato”, al punto da non riuscire a muoversi. Tutto il cervello registra in un secondo l’evento traumatico, l’esperienza di angoscia e terrore: non la dimenticherà più, perché siamo programmati per ricordare gli eventi pericolosi, se riusciamo a elaborare strategie che ci consentano di sopravvivere, nel caso poi si ripetano. Si parla allora di “spirito di sopravvivenza”, come dicono gli italiani, o di “survival skill”, capacità/abilità di sopravvivenza, come dicono gli anglosassoni, con interessante differenza linguistica e di significato.
La registrazione cerebrale dell’evento traumatico ha due percorsi principali, con tutti i gradi intermedi: adattativo, quando serve a migliorare le capacità fisiche e mentali con cui affrontare quello e altri traumi; e maladattativo, quando genera uno stato di stress, di sofferenza emotiva acuta che diventa poi permanente, noto come “sindrome post-traumatica da stress” (Post-Traumatic Stress Disorder, PTSD). Descritta in modo accurato nei soldati veterani americani, questa sindrome può colpire in modo significativo il 7,8-10% delle vittime di un terremoto, ancor più se ferite, se con parenti feriti o morti, e/o se costrette ad abbandonare le loro case. Si tratta di uno stato di allerta permanente, attivato da un’angoscia che non si attenua e non si risolve. I principali disturbi includono: un ricordo “intrusivo” dell’evento traumatico che inatteso torna alla coscienza, riattivando e ripetendo il ricordo con tutto il terremoto di adrenalina e di angoscia associati, come se lo si stesse rivivendo di fatto nella realtà (“flashback”); uno stato mentale intorpidito, con stordimento e confusione; la tendenza ad evitare tutto ciò che ricordi o sia riconducibile all’esperienza traumatica (anche indirettamente o solo simbolicamente); incubi, che possono far rivivere l’esperienza traumatica durante il sonno, in maniera molto vivida e con tutta l’attivazione adrenalinica di terrore come se il terremoto stesse realmente avvenendo in quel momento del sogno; un’allerta permanente (“iperattivazione psicofisiologica”), caratterizzata da insonnia, irritabilità, ansia, aggressività e tensione generalizzate. In alcuni casi, la persona colpita può cercare “sollievo” con abusi di alcol, droga, farmaci e/o psicofarmaci, di fatto peggiorando la situazione.
Questa sindrome può colpire le vittime, i familiari ma, a volte, anche i soccorritori più vulnerabili a questo tipo di stress fisico ed emotivo. Perché è importante conoscerla? Per comprendere il dolore profondo che il terremoto e l’abbandono delle case comporta; per comprenderne le conseguenze emotive, incluse l’aggressività e l’irritabilità che possono lasciare sorpresi e amareggiati familiari e personale di assistenza; per iniziare terapie adeguate, sia di sostegno psicologico, sia, se indicato, anche farmacologiche. L’onda lunga del terremoto causa un dolore protratto, che ha molti volti e molte insidie. Lo sciame di scosse telluriche può colpire a fondo anche le aree segrete del nostro cervello dove l’angoscia s’incista fino a diventare malattia. Nella vita reale, costruire case più sicure è insieme prevenzione e cura. Nella vita emotiva, comprendere e curare la sindrome post-traumatica da stress significa ricostruire la casa interiore, la certezza di ritrovare quel luogo fisico ed emotivo dove abita il cuore.
Con quali conseguenze di dolore, di insicurezza, di stress, di sofferenza psicologica e cerebrale a lungo termine? L’impossibilità di rientrare a casa, per un evento naturale traumatico e incontrollabile, come un terremoto o un’inondazione, mina il bisogno primario di ogni essere umano: il bisogno insieme di un amore che abbia solide radici, la famiglia in primis (bisogno di “attaccamento affettivo”), e di un luogo – la casa, la terra – a cui appartenere. Una certezza emotiva che cresce nutrita dall’affetto di parenti e amici e ritrova nella casa il luogo principe della vita della famiglia: “dove abita il cuore”, dove affondano e si attaccano le nostre radici.
Le conseguenze dello sradicamento violento causato dal terremoto sono diverse, complesse e gravi. Dal punto di vista fisico, la scossa scatena una violentissima scarica di adrenalina, che attiva in un secondo il sistema di allarme per la sopravvivenza: cuore a mille, respiro accelerato, allerta dei muscoli, vasocostrizione periferica. Il corpo si prepara alla fuga. Se la scarica di adrenalina è violenta al punto da causare panico e angoscia fino a un vero terrore, il corpo può venire congelato nell’immobilità, “pietrificato”, al punto da non riuscire a muoversi. Tutto il cervello registra in un secondo l’evento traumatico, l’esperienza di angoscia e terrore: non la dimenticherà più, perché siamo programmati per ricordare gli eventi pericolosi, se riusciamo a elaborare strategie che ci consentano di sopravvivere, nel caso poi si ripetano. Si parla allora di “spirito di sopravvivenza”, come dicono gli italiani, o di “survival skill”, capacità/abilità di sopravvivenza, come dicono gli anglosassoni, con interessante differenza linguistica e di significato.
La registrazione cerebrale dell’evento traumatico ha due percorsi principali, con tutti i gradi intermedi: adattativo, quando serve a migliorare le capacità fisiche e mentali con cui affrontare quello e altri traumi; e maladattativo, quando genera uno stato di stress, di sofferenza emotiva acuta che diventa poi permanente, noto come “sindrome post-traumatica da stress” (Post-Traumatic Stress Disorder, PTSD). Descritta in modo accurato nei soldati veterani americani, questa sindrome può colpire in modo significativo il 7,8-10% delle vittime di un terremoto, ancor più se ferite, se con parenti feriti o morti, e/o se costrette ad abbandonare le loro case. Si tratta di uno stato di allerta permanente, attivato da un’angoscia che non si attenua e non si risolve. I principali disturbi includono: un ricordo “intrusivo” dell’evento traumatico che inatteso torna alla coscienza, riattivando e ripetendo il ricordo con tutto il terremoto di adrenalina e di angoscia associati, come se lo si stesse rivivendo di fatto nella realtà (“flashback”); uno stato mentale intorpidito, con stordimento e confusione; la tendenza ad evitare tutto ciò che ricordi o sia riconducibile all’esperienza traumatica (anche indirettamente o solo simbolicamente); incubi, che possono far rivivere l’esperienza traumatica durante il sonno, in maniera molto vivida e con tutta l’attivazione adrenalinica di terrore come se il terremoto stesse realmente avvenendo in quel momento del sogno; un’allerta permanente (“iperattivazione psicofisiologica”), caratterizzata da insonnia, irritabilità, ansia, aggressività e tensione generalizzate. In alcuni casi, la persona colpita può cercare “sollievo” con abusi di alcol, droga, farmaci e/o psicofarmaci, di fatto peggiorando la situazione.
Questa sindrome può colpire le vittime, i familiari ma, a volte, anche i soccorritori più vulnerabili a questo tipo di stress fisico ed emotivo. Perché è importante conoscerla? Per comprendere il dolore profondo che il terremoto e l’abbandono delle case comporta; per comprenderne le conseguenze emotive, incluse l’aggressività e l’irritabilità che possono lasciare sorpresi e amareggiati familiari e personale di assistenza; per iniziare terapie adeguate, sia di sostegno psicologico, sia, se indicato, anche farmacologiche. L’onda lunga del terremoto causa un dolore protratto, che ha molti volti e molte insidie. Lo sciame di scosse telluriche può colpire a fondo anche le aree segrete del nostro cervello dove l’angoscia s’incista fino a diventare malattia. Nella vita reale, costruire case più sicure è insieme prevenzione e cura. Nella vita emotiva, comprendere e curare la sindrome post-traumatica da stress significa ricostruire la casa interiore, la certezza di ritrovare quel luogo fisico ed emotivo dove abita il cuore.
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