“Living treasures”, tesori viventi, li chiamano i Giapponesi. Sono le persone, uomini e donne, considerati i custodi di importanti e intangibili proprietà culturali (“Preservers of Important Intangible Cultural Properties”) dal Ministero dell’Educazione, della Cultura, dello Sport, delle Scienze e della Tecnologia. Chi sono questi tesori meravigliosi, da valorizzare? Si tratta di persone con grandi talenti artistici e culturali, considerate così preziose per la Nazione, per il livello raggiunto, da meritare questo titolo che è considerato, giustamente, un immenso onore, ma che comporta una grande, e ulteriore, responsabilità: trasmettere il sapere.
“Intangibili” è la parola chiave. «L’essenziale è invisibile agli occhi», diceva Antoine de Saint Exupéry, nel Piccolo Principe. Visibile o tangibile: l’essenza di queste eccellenze da preservare non è immediatamente riconosciuta dai cinque sensi. Non ha a che fare con il denaro, la ricchezza esteriore, i segni visibili del potere. Ha a che fare con talenti e qualità interiori, le più alte e squisitamente umane. Un’amica colta e profonda, grande amante del Giappone e della sua cultura, mi ha suggerito questa riflessione che merita di essere condivisa.
In tempi di incompetenza onorata ed epidemica, dobbiamo ancor più valorizzare i tesori viventi, in tutti gli aspetti della vita. Non per fossilizzarci sul passato, ma proprio per non smarrire e per trasmettere. Nel riconoscere, nel custodire e nel trasmettere l’eccellenza, in tutte le declinazioni dell’esistere, sta l’identità profonda di un Paese. Quell’identità che gli Italiani sentono oggi minacciata, spesso in modo confuso e non ancora chiarito, nemmeno a se stessi, ma in modo così profondo da creare paura, ansia, turbamento, o addirittuta angoscia verso il futuro.
Due le minacce più pervasive e inquietanti, Quella “interna”, che nasce proprio dal non valorizzare quei tesori viventi che sono l’essenza dell’anima, invisibile e potente, di un Popolo. E quella “esterna”, identificata in un’immigrazione incontrollata e selvaggia, ma anche in un’apertura multiculturale che ha senso purché non venga tradita e rinnegata la propria identità.
Anche senza onorificenze ufficiali, sono tesori viventi quegli insegnanti molto preparati e appassionati del loro lavoro che anche dopo quarant’anni di insegnamento entrano in classe con entusiasmo e la voglia di appassionare i loro allievi a conoscere, ad apprendere, ad essere curiosi del mondo e della vita. Insegnanti che ho avuto l’immensa fortuna di avere e che ancora ricordo con profonda gratitudine e riconoscenza. Sono tesori viventi i nonni, quando trasmettono con l’esempio e i gesti quotidiani il sapere profondo della vita e del suo valore. Sono tesori viventi i grandi artisti, gli artigiani con l’anima, gli imprenditori che hanno una visione che vada oltre il profitto. Gli sportivi che tramettono etica e passione, oltre all’eccellenza tecnica del gesto atletico.
E’ un talento intangibile e preziosissimo anche saper ricomporre le fratture, apprendendo dall’errore che le ha create. In famiglia, nella coppia, nei rapporti di lavoro, in politica. Ancora i giapponesi chiamano kintsugi l’arte di riempire con l’oro le crepe di un oggetto rotto.
Abbiamo bisogno di kintsugi: anche per ritrovare l’identità forte di un Paese in crisi. Non contro gli altri, ma per progredire realmente in un percorso multiculturale che rispetti le diversità, costruendo sicurezza e fiducia, solo se sa valorizzare le singole identità: individuali e nazionali.
Cerchiamo e valorizziamo i nostri tesori viventi. E impariamo a coltivare l’arte del kintsugi, antica e attualissima, in tutti gli aspetti della vita.
“Intangibili” è la parola chiave. «L’essenziale è invisibile agli occhi», diceva Antoine de Saint Exupéry, nel Piccolo Principe. Visibile o tangibile: l’essenza di queste eccellenze da preservare non è immediatamente riconosciuta dai cinque sensi. Non ha a che fare con il denaro, la ricchezza esteriore, i segni visibili del potere. Ha a che fare con talenti e qualità interiori, le più alte e squisitamente umane. Un’amica colta e profonda, grande amante del Giappone e della sua cultura, mi ha suggerito questa riflessione che merita di essere condivisa.
In tempi di incompetenza onorata ed epidemica, dobbiamo ancor più valorizzare i tesori viventi, in tutti gli aspetti della vita. Non per fossilizzarci sul passato, ma proprio per non smarrire e per trasmettere. Nel riconoscere, nel custodire e nel trasmettere l’eccellenza, in tutte le declinazioni dell’esistere, sta l’identità profonda di un Paese. Quell’identità che gli Italiani sentono oggi minacciata, spesso in modo confuso e non ancora chiarito, nemmeno a se stessi, ma in modo così profondo da creare paura, ansia, turbamento, o addirittuta angoscia verso il futuro.
Due le minacce più pervasive e inquietanti, Quella “interna”, che nasce proprio dal non valorizzare quei tesori viventi che sono l’essenza dell’anima, invisibile e potente, di un Popolo. E quella “esterna”, identificata in un’immigrazione incontrollata e selvaggia, ma anche in un’apertura multiculturale che ha senso purché non venga tradita e rinnegata la propria identità.
Anche senza onorificenze ufficiali, sono tesori viventi quegli insegnanti molto preparati e appassionati del loro lavoro che anche dopo quarant’anni di insegnamento entrano in classe con entusiasmo e la voglia di appassionare i loro allievi a conoscere, ad apprendere, ad essere curiosi del mondo e della vita. Insegnanti che ho avuto l’immensa fortuna di avere e che ancora ricordo con profonda gratitudine e riconoscenza. Sono tesori viventi i nonni, quando trasmettono con l’esempio e i gesti quotidiani il sapere profondo della vita e del suo valore. Sono tesori viventi i grandi artisti, gli artigiani con l’anima, gli imprenditori che hanno una visione che vada oltre il profitto. Gli sportivi che tramettono etica e passione, oltre all’eccellenza tecnica del gesto atletico.
E’ un talento intangibile e preziosissimo anche saper ricomporre le fratture, apprendendo dall’errore che le ha create. In famiglia, nella coppia, nei rapporti di lavoro, in politica. Ancora i giapponesi chiamano kintsugi l’arte di riempire con l’oro le crepe di un oggetto rotto.
Abbiamo bisogno di kintsugi: anche per ritrovare l’identità forte di un Paese in crisi. Non contro gli altri, ma per progredire realmente in un percorso multiculturale che rispetti le diversità, costruendo sicurezza e fiducia, solo se sa valorizzare le singole identità: individuali e nazionali.
Cerchiamo e valorizziamo i nostri tesori viventi. E impariamo a coltivare l’arte del kintsugi, antica e attualissima, in tutti gli aspetti della vita.
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