“Guarirò? Risolverò davvero il mio problema o questa cura sarà solo una perdita (costosa) di vita e di energie? Quanto tempo mi ci vorrà? Quanto mi costerà? E, non ultimo, come faccio a sapere se sono in buone mani, se mi posso fidare?”.
Ognuno di noi si pone queste domande cardinali, quando una malattia, fisica o psichica, turba la sua esistenza o quella di una persona cara. La risposta, già difficile in medicina, era spesso aleatoria in psicoterapia, soprattutto sulla difficile e controversa questione dei tempi e costi di terapia. Il “bisogna vedere come vanno le cose durante il trattamento” (che può durare anni e anni) era ed è la risposta classica nella maggioranza dei casi. Ora, la “Carta dei diritti dei pazienti nei confronti dello Psicologo”, recentemente approvata, dovrebbe consentire risposte più precise a queste domande e, in buona sostanza, una maggiore trasparenza nel rapporto tra psicoterapeuta e paziente o utente che dir si voglia.
C’era proprio bisogno di un’ennesima carta dei diritti? Evidentemente sì, visto che gli estensori del documento, che entrerà in vigore il 1° Luglio, sono i garanti di entrambi i contraenti di questo delicato rapporto sulla salute psichica: da un lato l’Ordine degli Psicologi, dall’altro ben 6 Associazioni dei Consumatori (Adiconsum, Adoc, Confconsumatori, Codacons, Movimento Difesa del Cittadino, Movimento Consumatori). Quest’ultimo cospicuo movimento di associazioni indica che il malcontento è diffuso e i motivi di insoddisfazione molteplici.
In medicina, la risposta a queste domande si riassume in un concetto: una prognosi ben fatta. Questo antichissimo “conoscere in anticipo, valutando l’andamento e l’esito di una malattia” presuppone alcune condizioni essenziali: una diagnosi corretta, innanzitutto; la valutazione della storia “naturale” della malattia (cioè il suo decorso in assenza di cure mediche e/o chirurgiche); l’impatto che le cure proposte avranno nel modificare (in meglio, si spera) il decorso stesso, ma anche i loro effetti collaterali; le variabili critiche (relative, per esempio, all’età del paziente, al suo stato generale di buona salute o di debilitazione, per altre comorbilità, ossia patologia concomitanti correlate, oltre che indipendenti); la sua motivazione personale alla cura; la qualità del sostegno affettivo e pratico da parte della famiglia di origine o di altre persone significative. Una buona prognosi richiede inoltre un requisito fondamentale: un limpido rapporto di fiducia tra medico e paziente, ispirato ad una solida base etica.
In psicoterapia, il concetto di prognosi è molto meno consolidato: perché la “talking cure”, la terapia della parola, ha un concetto di diagnosi molto più sfumato (e che spesso non viene proprio formulato); usa pochi criteri obiettivi per valutare la gravità del disturbo (se ci eccettuano test e questionari, che non molti usano); non ha protocolli validati di terapia, ripetibili in tutto il territorio nazionale, come succede invece per molte condizioni mediche (basti pensare alla buona standardizzazione nazionale in oncologia); non ha dei criteri obiettivi netti di misurazione del miglioramento o meno del paziente, anche perché si basa sull’incontro di due soggettività. Anche per queste ragioni, molti pazienti hanno l’impressione di aver “parlato” per anni, senza risultati. E, a volte, con la convinzione di aver “buttato” in una terapia inutile tempo, fiducia, vita e denaro. Spesso con la sensazione di una inconsolata solitudine.
Che cosa garantirà la nuova Carta? Quali vantaggi darà a chi abbia bisogno di una psicoterapia?
Innanzitutto, una garanzia su “chi” sia il professionista cui ci si stia rivolgendo, su quali siano i suoi modelli teorici e i suoi metodi di lavoro: informazioni ottenibili presso l’Ordine degli Psicologi provinciale. Secondo, un “piano di cura” (una prognosi psicologica) in cui vengano date informazioni accurate sulla prestazione proposta e sulle sue finalità: parlare e basta non è più accettabile. Terzo, i tempi e i costi del trattamento: aspetto, questo, decisamente innovativo. Secondo la Carta, lo psicoterapeuta dovrebbe indicare per iscritto i tempi indicativi del trattamento, la frequenza e la durata degli incontri, nonché il costo per seduta e l’eventuale pagamento di sedute “saltate”. Quarto, la modalità di interruzione della terapia: senza preavviso (e senza dover pagare altre sedute) da parte del paziente. L’interruzione decorre al momento della sua comunicazione di voler interrompere la cura. Lo psicologo deve informare invece con due settimane di anticipo. Infine, in caso di insoddisfazioni e contenziosi, per evitare i tempi lunghi della giustizia, è prevista una via conciliativa breve, davanti ad una commissione composta da un membro dell’Unione Consumatori e uno dell’Ordine degli Psicologi. Tutti gli Psicologi devono fare così? No... Solo quelli adenti alla Carta, che avranno una sorta di “bollino blu”, che dovrebbe garantire un rapporto di maggiore qualità.
Comunque, bollino o no, è bene che ogni persona che desideri iniziare una psicoterapia chieda e ottenga una risposta soddisfacente ai punti cardinali sopra illustrati.
La Carta ci dà una certezza di buona terapia e di buoni risultati? No, ma ne è una buona premessa, in termini di trasparenza e di rispetto dei diritti del paziente, molto vulnerabile e fragile, soprattutto quando inizia una psicoterapia. La chiarezza contrattuale è una sicurezza in più, ma è ancora un prerequisito. Per un’ottima psicoterapia gli ingredienti chiave restano quelli classici: un’indiscussa preparazione teorica, una solida esperienza clinica, e la capacità di stabilire con il/la paziente quell’empatia, quella capacità di sintonizzazione emotiva che è il pilastro, il cuore, della terapia stessa. Capace di attivare il processo di comprensione della crisi, di crescita personale e di cambiamento, che aiutino a (ri)guardare la vita con rinnovato entusiasmo e con occhi limpidi.
Ognuno di noi si pone queste domande cardinali, quando una malattia, fisica o psichica, turba la sua esistenza o quella di una persona cara. La risposta, già difficile in medicina, era spesso aleatoria in psicoterapia, soprattutto sulla difficile e controversa questione dei tempi e costi di terapia. Il “bisogna vedere come vanno le cose durante il trattamento” (che può durare anni e anni) era ed è la risposta classica nella maggioranza dei casi. Ora, la “Carta dei diritti dei pazienti nei confronti dello Psicologo”, recentemente approvata, dovrebbe consentire risposte più precise a queste domande e, in buona sostanza, una maggiore trasparenza nel rapporto tra psicoterapeuta e paziente o utente che dir si voglia.
C’era proprio bisogno di un’ennesima carta dei diritti? Evidentemente sì, visto che gli estensori del documento, che entrerà in vigore il 1° Luglio, sono i garanti di entrambi i contraenti di questo delicato rapporto sulla salute psichica: da un lato l’Ordine degli Psicologi, dall’altro ben 6 Associazioni dei Consumatori (Adiconsum, Adoc, Confconsumatori, Codacons, Movimento Difesa del Cittadino, Movimento Consumatori). Quest’ultimo cospicuo movimento di associazioni indica che il malcontento è diffuso e i motivi di insoddisfazione molteplici.
In medicina, la risposta a queste domande si riassume in un concetto: una prognosi ben fatta. Questo antichissimo “conoscere in anticipo, valutando l’andamento e l’esito di una malattia” presuppone alcune condizioni essenziali: una diagnosi corretta, innanzitutto; la valutazione della storia “naturale” della malattia (cioè il suo decorso in assenza di cure mediche e/o chirurgiche); l’impatto che le cure proposte avranno nel modificare (in meglio, si spera) il decorso stesso, ma anche i loro effetti collaterali; le variabili critiche (relative, per esempio, all’età del paziente, al suo stato generale di buona salute o di debilitazione, per altre comorbilità, ossia patologia concomitanti correlate, oltre che indipendenti); la sua motivazione personale alla cura; la qualità del sostegno affettivo e pratico da parte della famiglia di origine o di altre persone significative. Una buona prognosi richiede inoltre un requisito fondamentale: un limpido rapporto di fiducia tra medico e paziente, ispirato ad una solida base etica.
In psicoterapia, il concetto di prognosi è molto meno consolidato: perché la “talking cure”, la terapia della parola, ha un concetto di diagnosi molto più sfumato (e che spesso non viene proprio formulato); usa pochi criteri obiettivi per valutare la gravità del disturbo (se ci eccettuano test e questionari, che non molti usano); non ha protocolli validati di terapia, ripetibili in tutto il territorio nazionale, come succede invece per molte condizioni mediche (basti pensare alla buona standardizzazione nazionale in oncologia); non ha dei criteri obiettivi netti di misurazione del miglioramento o meno del paziente, anche perché si basa sull’incontro di due soggettività. Anche per queste ragioni, molti pazienti hanno l’impressione di aver “parlato” per anni, senza risultati. E, a volte, con la convinzione di aver “buttato” in una terapia inutile tempo, fiducia, vita e denaro. Spesso con la sensazione di una inconsolata solitudine.
Che cosa garantirà la nuova Carta? Quali vantaggi darà a chi abbia bisogno di una psicoterapia?
Innanzitutto, una garanzia su “chi” sia il professionista cui ci si stia rivolgendo, su quali siano i suoi modelli teorici e i suoi metodi di lavoro: informazioni ottenibili presso l’Ordine degli Psicologi provinciale. Secondo, un “piano di cura” (una prognosi psicologica) in cui vengano date informazioni accurate sulla prestazione proposta e sulle sue finalità: parlare e basta non è più accettabile. Terzo, i tempi e i costi del trattamento: aspetto, questo, decisamente innovativo. Secondo la Carta, lo psicoterapeuta dovrebbe indicare per iscritto i tempi indicativi del trattamento, la frequenza e la durata degli incontri, nonché il costo per seduta e l’eventuale pagamento di sedute “saltate”. Quarto, la modalità di interruzione della terapia: senza preavviso (e senza dover pagare altre sedute) da parte del paziente. L’interruzione decorre al momento della sua comunicazione di voler interrompere la cura. Lo psicologo deve informare invece con due settimane di anticipo. Infine, in caso di insoddisfazioni e contenziosi, per evitare i tempi lunghi della giustizia, è prevista una via conciliativa breve, davanti ad una commissione composta da un membro dell’Unione Consumatori e uno dell’Ordine degli Psicologi. Tutti gli Psicologi devono fare così? No... Solo quelli adenti alla Carta, che avranno una sorta di “bollino blu”, che dovrebbe garantire un rapporto di maggiore qualità.
Comunque, bollino o no, è bene che ogni persona che desideri iniziare una psicoterapia chieda e ottenga una risposta soddisfacente ai punti cardinali sopra illustrati.
La Carta ci dà una certezza di buona terapia e di buoni risultati? No, ma ne è una buona premessa, in termini di trasparenza e di rispetto dei diritti del paziente, molto vulnerabile e fragile, soprattutto quando inizia una psicoterapia. La chiarezza contrattuale è una sicurezza in più, ma è ancora un prerequisito. Per un’ottima psicoterapia gli ingredienti chiave restano quelli classici: un’indiscussa preparazione teorica, una solida esperienza clinica, e la capacità di stabilire con il/la paziente quell’empatia, quella capacità di sintonizzazione emotiva che è il pilastro, il cuore, della terapia stessa. Capace di attivare il processo di comprensione della crisi, di crescita personale e di cambiamento, che aiutino a (ri)guardare la vita con rinnovato entusiasmo e con occhi limpidi.