In Inghilterra e in Germania chi tocchi un poliziotto finisce in galera per anni. Di fronte al crescere della criminalità, per lo meno questo principio funziona e viene fatto rispettare senza incertezze. Atto doveroso nei confronti di chi tutela la sicurezza di tutti, mettendo a repentaglio la propria salute e, purtroppo, anche la propria vita.
In Italia, il garantismo strumentale, che protegge ad oltranza delinquenti di ogni risma, ha indebolito a tal punto la reale possibilità di difendersi dei nostri poliziotti, carabinieri o finanzieri, che in ogni scontro con facinorosi o delinquenti ci sono più feriti tra le Forze dell’Ordine che tra gli aggressori. Fino a quando, per aver trascurato segnali di allarme vistosi affondandoli in un mare di sterili indignazioni, non si arriva all’irreparabilità di un assassinio. Un Ispettore di Polizia ucciso per pura delinquenza da chi era già stato incriminato per atti di violenza allo stadio e aveva patteggiato la pena.
Questa morte, ancora più tragica perché è avvenuta in un contesto che dovrebbe essere ludico, qual è una partita di calcio, non arriva a caso, né è un fatto sporadico. Bensì è l’ultimo atto di un profondo cambiamento sociale che mi sembra riconducibile ad un denominatore trasversale: la crisi drammatica del principio di autorità paterna e l’eccessiva “maternalizzazione” della nostra società. Attenzione: in questa lettura non c’è alcuna attenuazione del principio di responsabilità degli assassini e dei loro sostenitori. Semmai l’opposto: voglio sottolineare come il bisogno di dare le regole e farle rispettare debba tornare ad essere un principio cardinale dell’educazione, in famiglia e a scuola, e un principio fondante dell’ordine pubblico e non possa limitarsi all’occasionale, sensazionalistica chiusura degli stadi per una domenica o due. No. Il rimedio richiede una netta virata sociale che ridia al codice paterno il necessario e rispettato ruolo che gli spetta.
Nei codici sociali tradizionali, spettava al padre dare le regole e farle rispettare, anche con punizioni adeguate. Alla madre era invece deputato il codice tenero, dell’affetto, della tenerezza, della comprensione, del perdono. Si è auspicato che anche il padre possa essere tenero e comprensivo. Perfetto. Purché questo non azzeri la sua capacità di essere autorevole senza incertezze e di punire, quando necessario. Il lassismo educativo con cui crescono i nostri bambini e adolescenti mostra con evidenza come il principio di autorità paterna sia invece andato sostanzialmente in crisi, in alcuni contesti sociali più che in altri. A questo ridimensionamento pericoloso sono concorsi vari fattori, di cui il più forte è la crisi della famiglia e delle sua dinamiche portanti. Alla “maternalizzazione” contribuisce poi la tendenza a psicologicizzare ogni comportamento: con un’assimilazione pericolosa tra momenti psichici ben diversi. Un conto è spiegare perché un delitto avviene, un conto è comprendere le dinamiche psichiche che hanno portato a compierlo, un conto è giustificarlo e perdonarlo, azzerando il valore educativo – o comunque restrittivo – delle punizioni. Di fatto, garantismo e perdonismo sono figli (anche) della crisi del principio di autorità maschile, oltre che espressione di dinamiche politiche strumentali di più basso profilo.
Le Forze dell’Ordine – Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza – rappresentano il principio maschile, il codice paterno normativo della grande famiglia che è la nostra società. Guardiamo la storia recente e si vedrà che questa lettura può essere pertinente. Nel 1981, con la riforma della Polizia, è iniziata la smilitarizzazione ex lege di questo Corpo. L’obiettivo, lodevole, era di renderne più umano e democratico il volto e la percezione sociale: non più “sbirri”, ma una componente essenziale, e nobile, del tessuto sociale. Le riforme successive, fino all’attuale polizia di quartiere, mirano a migliorare l’integrazione con i cittadini e la componente “preventiva” dell’azione delle Forze dell’Ordine. Tuttavia, a questa maggiore “amicalità”, non è corrisposto il mantenimento del necessario rigore sul fronte del rispetto delle Forze dell’Ordine. Ancora peggio è andata sul fronte delle punizioni e delle sanzioni: in linea con il principio materno del comprendere invece che reprimere o punire, si è finiti per garantire solo i delinquenti (“poveretti” incolpevoli, sempre per qualche ragione psicosociale).
Se fossi un poliziotto, un carabiniere, un finanziere, mi sentirei in crisi profonda: da un lato bersaglio umano, con uno Stato che non mi protegge, e anzi mi cita in giudizio se in un conflitto a fuoco un delinquente resta ferito o ucciso. Dall’altro professionista il cui lavoro è banalizzato e deriso tutte le volte in cui, dopo aver catturato un delinquente dopo mesi o anni di indagini, lo ritrova libero e più aggressivo di prima, come l’ultimo decreto per l’indulto ci ha mostrato.
Se consentiamo ai figli – snaturati o no – di uccidere i padri, se consentiamo ai teppisti di uccidere un poliziotto, un carabiniere, un finanziere, non abbiamo capito che quell’uomo morto è il simbolo di una crisi più profonda, che va oltre gli ultras. E’ un segnale di allarme rosso che deve portarci a contrastare la deriva delle norme, la perdita delle regole, in famiglia come nello Stato. Deve farci riconoscere e capire, prima che sia troppo tardi, che il codice paterno, con l’implicito principio d’autorità, è altrettanto essenziale, alla salute psichica ed etica della nostra società, del codice materno.
Dobbiamo avere il coraggio di dare le regole e far rispettare con fermezza chi, in quanto Forza dell’Ordine, deve applicarle, nell’interesse di tutti.
In Italia, il garantismo strumentale, che protegge ad oltranza delinquenti di ogni risma, ha indebolito a tal punto la reale possibilità di difendersi dei nostri poliziotti, carabinieri o finanzieri, che in ogni scontro con facinorosi o delinquenti ci sono più feriti tra le Forze dell’Ordine che tra gli aggressori. Fino a quando, per aver trascurato segnali di allarme vistosi affondandoli in un mare di sterili indignazioni, non si arriva all’irreparabilità di un assassinio. Un Ispettore di Polizia ucciso per pura delinquenza da chi era già stato incriminato per atti di violenza allo stadio e aveva patteggiato la pena.
Questa morte, ancora più tragica perché è avvenuta in un contesto che dovrebbe essere ludico, qual è una partita di calcio, non arriva a caso, né è un fatto sporadico. Bensì è l’ultimo atto di un profondo cambiamento sociale che mi sembra riconducibile ad un denominatore trasversale: la crisi drammatica del principio di autorità paterna e l’eccessiva “maternalizzazione” della nostra società. Attenzione: in questa lettura non c’è alcuna attenuazione del principio di responsabilità degli assassini e dei loro sostenitori. Semmai l’opposto: voglio sottolineare come il bisogno di dare le regole e farle rispettare debba tornare ad essere un principio cardinale dell’educazione, in famiglia e a scuola, e un principio fondante dell’ordine pubblico e non possa limitarsi all’occasionale, sensazionalistica chiusura degli stadi per una domenica o due. No. Il rimedio richiede una netta virata sociale che ridia al codice paterno il necessario e rispettato ruolo che gli spetta.
Nei codici sociali tradizionali, spettava al padre dare le regole e farle rispettare, anche con punizioni adeguate. Alla madre era invece deputato il codice tenero, dell’affetto, della tenerezza, della comprensione, del perdono. Si è auspicato che anche il padre possa essere tenero e comprensivo. Perfetto. Purché questo non azzeri la sua capacità di essere autorevole senza incertezze e di punire, quando necessario. Il lassismo educativo con cui crescono i nostri bambini e adolescenti mostra con evidenza come il principio di autorità paterna sia invece andato sostanzialmente in crisi, in alcuni contesti sociali più che in altri. A questo ridimensionamento pericoloso sono concorsi vari fattori, di cui il più forte è la crisi della famiglia e delle sua dinamiche portanti. Alla “maternalizzazione” contribuisce poi la tendenza a psicologicizzare ogni comportamento: con un’assimilazione pericolosa tra momenti psichici ben diversi. Un conto è spiegare perché un delitto avviene, un conto è comprendere le dinamiche psichiche che hanno portato a compierlo, un conto è giustificarlo e perdonarlo, azzerando il valore educativo – o comunque restrittivo – delle punizioni. Di fatto, garantismo e perdonismo sono figli (anche) della crisi del principio di autorità maschile, oltre che espressione di dinamiche politiche strumentali di più basso profilo.
Le Forze dell’Ordine – Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza – rappresentano il principio maschile, il codice paterno normativo della grande famiglia che è la nostra società. Guardiamo la storia recente e si vedrà che questa lettura può essere pertinente. Nel 1981, con la riforma della Polizia, è iniziata la smilitarizzazione ex lege di questo Corpo. L’obiettivo, lodevole, era di renderne più umano e democratico il volto e la percezione sociale: non più “sbirri”, ma una componente essenziale, e nobile, del tessuto sociale. Le riforme successive, fino all’attuale polizia di quartiere, mirano a migliorare l’integrazione con i cittadini e la componente “preventiva” dell’azione delle Forze dell’Ordine. Tuttavia, a questa maggiore “amicalità”, non è corrisposto il mantenimento del necessario rigore sul fronte del rispetto delle Forze dell’Ordine. Ancora peggio è andata sul fronte delle punizioni e delle sanzioni: in linea con il principio materno del comprendere invece che reprimere o punire, si è finiti per garantire solo i delinquenti (“poveretti” incolpevoli, sempre per qualche ragione psicosociale).
Se fossi un poliziotto, un carabiniere, un finanziere, mi sentirei in crisi profonda: da un lato bersaglio umano, con uno Stato che non mi protegge, e anzi mi cita in giudizio se in un conflitto a fuoco un delinquente resta ferito o ucciso. Dall’altro professionista il cui lavoro è banalizzato e deriso tutte le volte in cui, dopo aver catturato un delinquente dopo mesi o anni di indagini, lo ritrova libero e più aggressivo di prima, come l’ultimo decreto per l’indulto ci ha mostrato.
Se consentiamo ai figli – snaturati o no – di uccidere i padri, se consentiamo ai teppisti di uccidere un poliziotto, un carabiniere, un finanziere, non abbiamo capito che quell’uomo morto è il simbolo di una crisi più profonda, che va oltre gli ultras. E’ un segnale di allarme rosso che deve portarci a contrastare la deriva delle norme, la perdita delle regole, in famiglia come nello Stato. Deve farci riconoscere e capire, prima che sia troppo tardi, che il codice paterno, con l’implicito principio d’autorità, è altrettanto essenziale, alla salute psichica ed etica della nostra società, del codice materno.
Dobbiamo avere il coraggio di dare le regole e far rispettare con fermezza chi, in quanto Forza dell’Ordine, deve applicarle, nell’interesse di tutti.