Finalmente! Ecco due studi scientifici che portano il sole – e molta chiarezza – sulle terapie ormonali sostitutive per le donne in menopausa, dopo il terrorismo esploso nel 2002 con la pubblicazione dello studio americano chiamato “Women’s Health Initiative” (WHI). Da ginecologa appassionata della salute delle donne mi fa piacere condividerne subito i risultati con le lettrici e i loro familiari.
Gli ultimi dati: nelle donne curate con ormoni durante o subito dopo la menopausa, lo stesso WHI non ha dimostrato un aumento di effetti negativi sul cuore. Anzi, ha mostrato una tendenza verso effetti protettivi, contrariamente a quanto prima pubblicato, che tuttavia si riferiva a donne curate con ormoni in età avanzata.
Un’evidenza ulteriormente rassicurante, sul rapporto fra terapie ormonali e salute cardiaca, è emersa dall’analisi del Nurses’Health Study, l’altro grande studio americano condotto su oltre 130.000 infermiere, più recentemente pubblicato (Grodstein et Al., 2006). Con la potenza di un numero di donne arruolate, nell’età appropriata, decisamente superiore, questo studio è stato in grado di dimostrare che le donne che iniziano la terapia ormonale in concomitanza della menopausa hanno un rischio significativamente ridotto di eventi cardiovascolari. Questo effetto protettivo sul cuore è maggiore per le donne cui era stato precedentemente tolto l’utero (“isterectomizzate”), trattate quindi con soli estrogeni, per le quali c’è una riduzione di ben il 34 per cento di avere un problema cardiovascolare. L’effetto protettivo persiste con una riduzione significativa, del 28 per cento, anche nelle donne trattate con estrogeni e progestinici.
Come conciliare questi nuovi dati con i precedenti, che avevano terrorizzato donne e medici? Presto detto: analizzando le diverse fasce di età cui gli studi si riferiscono, invece di estendere alla più giovani i risultati negativi di quelle trattate a 70 anni – come invece erroneamente è stato fatto.
In sintesi: il WHI era stato disegnato per valutare se gli estrogeni a dosi standard potessero essere protettivi per il cuore. Purtroppo l’età media delle donne arruolate era 63.6 anni, con il 70 per cento al di sopra dei 60 anni di età, decisamente più anziane, quindi, rispetto alle donne abitualmente curate con terapie ormonali sostitutive (la cui età media in Italia è di 51 anni, tanto per dare un’idea della differenza fra i gruppi trattati).
Questo è il vero messaggio chiave: il WHI non era stato disegnato, e pertanto nemmeno dimensionato, per investigare le conseguenze della terapia ormonale nelle donne più giovani, di età inferiore ai 60 anni. Pertanto, ogni tentativo di presentare i risultati di quello studio come indicativi del fatto che le terapie ormonali possano infliggere un danno al cuore in generale è sbagliato e deve essere corretto. Con tanta maggiore decisione e chiarezza in quanto, e purtroppo, il messaggio sbagliato è stato accolto come verità di fede sia da moltissimi medici sia dalle autorità regolatorie, per non parlare dei media e delle donne.
Analizzando invece i dati per fasce di età emerge che: a) usare le terapie ormonali in donne anziane, oltre i 70 anni, con una aterosclerosi consolidata non dà alcun vantaggio protettivo nei confronti del rischio cardiovascolare, né può dare una protezione nei confronti di un deterioramento cerebrale a genesi vascolare: il che è ovvio; b) di converso, l’uso delle terapie ormonali in donne che hanno appena avuto la menopausa, e che hanno arterie ancora presumibilmente integre, si è dimostrato nettamente protettivo.
E allora? Gli ormoni sessuali – estrogeni e progesterone – hanno un ruolo prezioso, che resta indiscusso, nel diluire nel tempo l’impatto della menopausa. Perché ne curano i molteplici sintomi, perché attenuano l’impatto dell’invecchiamento su organi e tessuti, e perché migliorano decisamente la qualità della vita delle donne. Per questo ho sempre sostenuto l’importanza delle terapie ormonali sostitutive personalizzate, per dosi, tipo di ormoni e via di somministrazione. Terapie dunque fatte su misura come un vestito, adatto all’età, al biotipo, al peso corporeo, alla gravità dei sintomi, alle specifiche vulnerabilità della singola donna.
Questi ultimi dati, sia del WHI, sia del Nurses’ Study, sono in linea con la teoria della “finestra di opportunità” (“window of opportunity”), la quale sostiene come gli estrogeni siano protettivi per il cuore e i vasi sanguigni, e il cervello, quando l’endotelio delle arterie è ancora intatto. Consentono quindi di ricollocare in una prospettiva equilibrata il ruolo delle terapie ormonali, specie nelle donne trattate subito dopo la menopausa. E la mammella? Anche le preoccupazioni su questo fronte sono ridimensionate, ma di questo parleremo un’altra volta.
E’ giusto che le donne siano informate di questi nuovi dati, per non passare gli anni dopo la menopausa in tristezza, piene di sintomi fastidiosi, quando possono essere curate bene, e subito, in sicurezza. Un messaggio finalmente positivo per tutte le donne che non vogliano vegetare, invecchiando, ma vivere. E stare bene.
Gli ultimi dati: nelle donne curate con ormoni durante o subito dopo la menopausa, lo stesso WHI non ha dimostrato un aumento di effetti negativi sul cuore. Anzi, ha mostrato una tendenza verso effetti protettivi, contrariamente a quanto prima pubblicato, che tuttavia si riferiva a donne curate con ormoni in età avanzata.
Un’evidenza ulteriormente rassicurante, sul rapporto fra terapie ormonali e salute cardiaca, è emersa dall’analisi del Nurses’Health Study, l’altro grande studio americano condotto su oltre 130.000 infermiere, più recentemente pubblicato (Grodstein et Al., 2006). Con la potenza di un numero di donne arruolate, nell’età appropriata, decisamente superiore, questo studio è stato in grado di dimostrare che le donne che iniziano la terapia ormonale in concomitanza della menopausa hanno un rischio significativamente ridotto di eventi cardiovascolari. Questo effetto protettivo sul cuore è maggiore per le donne cui era stato precedentemente tolto l’utero (“isterectomizzate”), trattate quindi con soli estrogeni, per le quali c’è una riduzione di ben il 34 per cento di avere un problema cardiovascolare. L’effetto protettivo persiste con una riduzione significativa, del 28 per cento, anche nelle donne trattate con estrogeni e progestinici.
Come conciliare questi nuovi dati con i precedenti, che avevano terrorizzato donne e medici? Presto detto: analizzando le diverse fasce di età cui gli studi si riferiscono, invece di estendere alla più giovani i risultati negativi di quelle trattate a 70 anni – come invece erroneamente è stato fatto.
In sintesi: il WHI era stato disegnato per valutare se gli estrogeni a dosi standard potessero essere protettivi per il cuore. Purtroppo l’età media delle donne arruolate era 63.6 anni, con il 70 per cento al di sopra dei 60 anni di età, decisamente più anziane, quindi, rispetto alle donne abitualmente curate con terapie ormonali sostitutive (la cui età media in Italia è di 51 anni, tanto per dare un’idea della differenza fra i gruppi trattati).
Questo è il vero messaggio chiave: il WHI non era stato disegnato, e pertanto nemmeno dimensionato, per investigare le conseguenze della terapia ormonale nelle donne più giovani, di età inferiore ai 60 anni. Pertanto, ogni tentativo di presentare i risultati di quello studio come indicativi del fatto che le terapie ormonali possano infliggere un danno al cuore in generale è sbagliato e deve essere corretto. Con tanta maggiore decisione e chiarezza in quanto, e purtroppo, il messaggio sbagliato è stato accolto come verità di fede sia da moltissimi medici sia dalle autorità regolatorie, per non parlare dei media e delle donne.
Analizzando invece i dati per fasce di età emerge che: a) usare le terapie ormonali in donne anziane, oltre i 70 anni, con una aterosclerosi consolidata non dà alcun vantaggio protettivo nei confronti del rischio cardiovascolare, né può dare una protezione nei confronti di un deterioramento cerebrale a genesi vascolare: il che è ovvio; b) di converso, l’uso delle terapie ormonali in donne che hanno appena avuto la menopausa, e che hanno arterie ancora presumibilmente integre, si è dimostrato nettamente protettivo.
E allora? Gli ormoni sessuali – estrogeni e progesterone – hanno un ruolo prezioso, che resta indiscusso, nel diluire nel tempo l’impatto della menopausa. Perché ne curano i molteplici sintomi, perché attenuano l’impatto dell’invecchiamento su organi e tessuti, e perché migliorano decisamente la qualità della vita delle donne. Per questo ho sempre sostenuto l’importanza delle terapie ormonali sostitutive personalizzate, per dosi, tipo di ormoni e via di somministrazione. Terapie dunque fatte su misura come un vestito, adatto all’età, al biotipo, al peso corporeo, alla gravità dei sintomi, alle specifiche vulnerabilità della singola donna.
Questi ultimi dati, sia del WHI, sia del Nurses’ Study, sono in linea con la teoria della “finestra di opportunità” (“window of opportunity”), la quale sostiene come gli estrogeni siano protettivi per il cuore e i vasi sanguigni, e il cervello, quando l’endotelio delle arterie è ancora intatto. Consentono quindi di ricollocare in una prospettiva equilibrata il ruolo delle terapie ormonali, specie nelle donne trattate subito dopo la menopausa. E la mammella? Anche le preoccupazioni su questo fronte sono ridimensionate, ma di questo parleremo un’altra volta.
E’ giusto che le donne siano informate di questi nuovi dati, per non passare gli anni dopo la menopausa in tristezza, piene di sintomi fastidiosi, quando possono essere curate bene, e subito, in sicurezza. Un messaggio finalmente positivo per tutte le donne che non vogliano vegetare, invecchiando, ma vivere. E stare bene.
Apparato e patologie cardiovascolari Menopausa e premenopausa Terapia ormonale sostitutiva