Tutti pazzi per il caffè? Così sembra, quando si osservi la crescita internazionale, veloce ed entusiasta, dell’uso di questa bevanda, nell’italianissima versione del caffè espresso o del cappuccino, in netta controtendenza rispetto alla contrazione generale dei consumi anche alimentari.
Aumentano i caffè come luogo di incontro alla moda, ma anche i consumi domestici in cui il caffè condiviso sta ritrovando una nuova stagione del gusto. Solo una moda? Non solo. Le passioni piccole o grandi, quando diventano trasversali, interessando tutti gli strati sociali e multiculturali (il caffè italiano sta conquistando anche la Cina e l’India), soddisfano evidentemente bisogni specifici. Quali? Innanzitutto, il gusto di assaporare un caffè nasce dalla felice sinergia tra gratificazione fisica, per l’effetto eccitante e stimolante sulla performance cerebrale e sul tono fisico, ed emotiva. E’ questa combinazione che rinforza l’abitudine grazie all’attivazione del meccanismo di ricompensa. Tendiamo infatti a ripetere quei comportamenti che ci danno una gratificazione fisica e/o emotiva, soprattutto se potenziata da una pausa di benessere condivisa, ancora più gradita e necessaria in contesti urbani e professionali dai tempi accelerati e concitati. A questi fattori biopsichici si aggiunge il potente effetto amplificante culturale, quando un comportamento è associato a stili di vita privilegiati, a momenti di pausa, a liturgie sociali gratificanti, a luoghi alla moda.
Quali sono le basi neurobiologiche della voglia di caffè? Il profumo o la vista del caffè, o la stessa anticipazione emotiva, attivano in modo potente diverse aree del cervello: le vie sensoriali, le vie affettive, le emozioni del desiderio, i centri della memoria. L’olfatto, in particolare, senso chimico come il gusto, ha una grande capacità di modulare le nostre abitudini alimentari (incluse le bevande olfattivamente molto caratterizzate come il caffè), perché evoca memorie complesse legate alle emozioni primarie di attaccamento affettivo, le più potenti nello stabilire legami d’amore. Questa caratteristica dà al caffè una valenza privilegiata nelle liturgie di socializzazione. Per molti di noi il profumo del caffè richiama la casa, il risveglio del mattino, la colazione, ma anche l’appartenenza a quella specifica famiglia, se nelle tradizioni familiari la prima colazione dell’infanzia, il classico caffellatte con la fetta di torta, ti ricorda anche qualcuno che preparandotelo – la mamma o la nonna – si prendeva cura di te con amore. Era un momento piacevole, non solo affettivo, ma anche fisico. Questo perché la caffeina attiva due vie neurochimiche essenziali per il benessere: la via dopaminergica, via appetitiva per eccellenza, che modula l’energia vitale, la voglia di conquistare, in senso reale o metaforico, una terra, un cibo, un oggetto o un/a partner; e la via serotoninergica, che regola il tono dell’umore. Da questa azione biologica nascono i correlati psicoemotivi di “sveglia”, di aumento dell’attenzione e della capacità di concentrazione, di benessere.
Gli studi scientifici documentano che la caffeina, in dosi moderate (meno di 200 mg al dì, equivalenti a circa tre espresso al giorno, l’uso medio italiano): aumenta lo stato di attenzione e riduce il senso di stanchezza; aumenta la performance nei test di vigilanza e nei compiti semplici, quando è richiesta un’attenzione continuativa (per esempio nei lavori notturni), mentre non aumenta in modo specifico le performance complesse, più correlate al profilo di personalità e al livello culturale; e potrebbe avere addirittura un effetto antiage cerebrale, come dimostrerebbero studi recentissimi sugli animali, e specifici effetti terapeutici, mediati dall’aumento delle neurotrofine, sostanze che migliorano la capacità delle cellule nervose di riparare danni biologici. Con un caveat. Secondo alcuni ricercatori, l’effetto di miglioramento sulle prestazioni mentali non sarebbe assoluto ma relativo alla riduzione della sonnolenza diurna, ormai epidemica, a causa della drastica riduzione sia della quantità di ore di sonno, sia della sua qualità. Ecco che un dato di costume – l’aumento del consumo di caffè – apre allora scenari molto interessanti non solo sugli stili di vita di una popolazione, ma anche sulle crescenti patologie che questa manifesta: nello specifico, crescente insonnia, crescente sonnolenza diurna, maggior bisogno di eccitanti per mantenere un adeguato stato di veglia. Un dato che da solo merita tutta la nostra attenzione.
Esistono controindicazioni mediche all’uso del caffè? Sì, proprio perché il caffè agisce su precisi meccanismi neurobiologici. Le controindicazioni sono due, sostanzialmente: il primo, soffrire di disturbi d’ansia, in quanto la caffeina potenzia l’ansia stessa e la reattività ad eventi ansiogeni ambientali, concorre a disturbi del sonno con aumento della sonnolenza diurna, e riduce il controllo sui movimenti fini facilitando i tremori, specie alle mani. Secondo, l’avere disturbi correlati ad una sregolazione del sistema neurovegetativo (insonnia, ipertensione, vampate di calore, sudorazione eccessiva), situazione frequente in una menopausa non trattata con cure ormonali. I consumatori eccessivi (più di 200 mg al dì) sono più vulnerabili a questi disturbi, in quanto esiste una certa linearità tra dose e risposta biologica.
Se l’effetto fisico è preciso, esistono sintomi da astinenza di caffè? Sì, seppure in genere di breve durata, di modesta intensità, e a rapida scomparsa riassumendo un caffè. Sono divisibili in tre gruppi: astenia e cefalea, umore disforico, sintomi fisici simil-influenzali, la cui intensità aumenta quando il consumo di caffeina quotidiano supera i 200 mg al dì. Va ricordato, infatti che, oltre al caffè, la caffeina è presente nel the, nella coca-cola, ma anche nel red-bull, la bevanda di cui sono appassionati giovani e sportivi. In positivo, l’autocontrollo sull’uso del caffè è in genere ottimo, come dimostra il suo uso circadiano, con massimo utilizzo nelle ora mattutine e immediatamente postprandiali, proprio per ottimizzare veglia e attenzione, mentre sale alla sera il consumo del decaffeinato, che mantiene soprattutto il gusto della liturgia.
Quali fattori portano invece la versione italiana del caffè – l’espresso – a vincere sul terreno internazionale, battendo tradizioni molto più consolidate? Un mix di gusto e profumo, unito a una liturgia della preparazione del caffè che fa dell’incontro e della condivisione un momento centrale del piacere di berlo. Una liturgia che si può sintetizzare nell’“italian loving style”. L’uomo è un animale liturgico, vive di gesti al contempo pragmatici e simbolici. Nell’italianissimo “Ti preparo un caffè” sono sintetizzati il gusto di prendersi una pausa, ma anche di prendersi cura dell’altro, con un tempo dedicato, veloce nella preparazione e lento “ad libitum” nella degustazione, condividendo una liturgia multisensoriale di gesti affettuosi, profondamente gratificante.
La liturgia del caffè in casa offre infine dei plus in più: stiamo in casa, o torniamo a casa, come autoterapia contro la sindrome da sradicamento che ci prende vivendo sempre più in estraniate case dormitorio. Diventa allora centrale il gusto della casa-tana, del prendersi cura, dell’assaporare sfiziosamente insieme, meglio se un gran cru, eventualmente decaffeinato se la pausa è serale, con un dolce o del cioccolato di accompagnamento. Un formidabile trigger di endorfine, che dalle papille olfattive e gustative si diffonde sul cervello e sul corpo, come un’onda sull’acqua. Un catalizzatore di benessere condiviso, che attiva contemporaneamente le tre grandi aree motivazionali dei meccanismi di ricompensa: neurobiologica, grazie all’aumento di dopamina, serotonina ed endorfine, le nostre molecole della gioia; psicoemotiva, per la gratificazione del bisogno di attaccamento affettivo, con effetto antistress, antiansia e antisolitudine; e affettiva. Quest’ultima ha diverse declinazioni, a seconda della coppia e del contesto: può essere tipica di una pausa giocosa tra amici; consente una pausa di evasione nel lavori a bassa performance, e una pausa creativa in quelli ad alta perfomance; può catalizzare una pausa afrodisiaca tra due amanti, e una pausa tenera tra familiari, piacevole comunque per tutti e a basso costo.
Ecco che allora anche un dettaglio di vita, come il gusto di prendersi un caffè insieme, può svelarci molto sui bisogni emergenti in una popolazione, non solo dal punto di vista fisico ma anche emotivo, specialmente quando un consumo sale mentre gli altri drasticamente scendono.
Aumentano i caffè come luogo di incontro alla moda, ma anche i consumi domestici in cui il caffè condiviso sta ritrovando una nuova stagione del gusto. Solo una moda? Non solo. Le passioni piccole o grandi, quando diventano trasversali, interessando tutti gli strati sociali e multiculturali (il caffè italiano sta conquistando anche la Cina e l’India), soddisfano evidentemente bisogni specifici. Quali? Innanzitutto, il gusto di assaporare un caffè nasce dalla felice sinergia tra gratificazione fisica, per l’effetto eccitante e stimolante sulla performance cerebrale e sul tono fisico, ed emotiva. E’ questa combinazione che rinforza l’abitudine grazie all’attivazione del meccanismo di ricompensa. Tendiamo infatti a ripetere quei comportamenti che ci danno una gratificazione fisica e/o emotiva, soprattutto se potenziata da una pausa di benessere condivisa, ancora più gradita e necessaria in contesti urbani e professionali dai tempi accelerati e concitati. A questi fattori biopsichici si aggiunge il potente effetto amplificante culturale, quando un comportamento è associato a stili di vita privilegiati, a momenti di pausa, a liturgie sociali gratificanti, a luoghi alla moda.
Quali sono le basi neurobiologiche della voglia di caffè? Il profumo o la vista del caffè, o la stessa anticipazione emotiva, attivano in modo potente diverse aree del cervello: le vie sensoriali, le vie affettive, le emozioni del desiderio, i centri della memoria. L’olfatto, in particolare, senso chimico come il gusto, ha una grande capacità di modulare le nostre abitudini alimentari (incluse le bevande olfattivamente molto caratterizzate come il caffè), perché evoca memorie complesse legate alle emozioni primarie di attaccamento affettivo, le più potenti nello stabilire legami d’amore. Questa caratteristica dà al caffè una valenza privilegiata nelle liturgie di socializzazione. Per molti di noi il profumo del caffè richiama la casa, il risveglio del mattino, la colazione, ma anche l’appartenenza a quella specifica famiglia, se nelle tradizioni familiari la prima colazione dell’infanzia, il classico caffellatte con la fetta di torta, ti ricorda anche qualcuno che preparandotelo – la mamma o la nonna – si prendeva cura di te con amore. Era un momento piacevole, non solo affettivo, ma anche fisico. Questo perché la caffeina attiva due vie neurochimiche essenziali per il benessere: la via dopaminergica, via appetitiva per eccellenza, che modula l’energia vitale, la voglia di conquistare, in senso reale o metaforico, una terra, un cibo, un oggetto o un/a partner; e la via serotoninergica, che regola il tono dell’umore. Da questa azione biologica nascono i correlati psicoemotivi di “sveglia”, di aumento dell’attenzione e della capacità di concentrazione, di benessere.
Gli studi scientifici documentano che la caffeina, in dosi moderate (meno di 200 mg al dì, equivalenti a circa tre espresso al giorno, l’uso medio italiano): aumenta lo stato di attenzione e riduce il senso di stanchezza; aumenta la performance nei test di vigilanza e nei compiti semplici, quando è richiesta un’attenzione continuativa (per esempio nei lavori notturni), mentre non aumenta in modo specifico le performance complesse, più correlate al profilo di personalità e al livello culturale; e potrebbe avere addirittura un effetto antiage cerebrale, come dimostrerebbero studi recentissimi sugli animali, e specifici effetti terapeutici, mediati dall’aumento delle neurotrofine, sostanze che migliorano la capacità delle cellule nervose di riparare danni biologici. Con un caveat. Secondo alcuni ricercatori, l’effetto di miglioramento sulle prestazioni mentali non sarebbe assoluto ma relativo alla riduzione della sonnolenza diurna, ormai epidemica, a causa della drastica riduzione sia della quantità di ore di sonno, sia della sua qualità. Ecco che un dato di costume – l’aumento del consumo di caffè – apre allora scenari molto interessanti non solo sugli stili di vita di una popolazione, ma anche sulle crescenti patologie che questa manifesta: nello specifico, crescente insonnia, crescente sonnolenza diurna, maggior bisogno di eccitanti per mantenere un adeguato stato di veglia. Un dato che da solo merita tutta la nostra attenzione.
Esistono controindicazioni mediche all’uso del caffè? Sì, proprio perché il caffè agisce su precisi meccanismi neurobiologici. Le controindicazioni sono due, sostanzialmente: il primo, soffrire di disturbi d’ansia, in quanto la caffeina potenzia l’ansia stessa e la reattività ad eventi ansiogeni ambientali, concorre a disturbi del sonno con aumento della sonnolenza diurna, e riduce il controllo sui movimenti fini facilitando i tremori, specie alle mani. Secondo, l’avere disturbi correlati ad una sregolazione del sistema neurovegetativo (insonnia, ipertensione, vampate di calore, sudorazione eccessiva), situazione frequente in una menopausa non trattata con cure ormonali. I consumatori eccessivi (più di 200 mg al dì) sono più vulnerabili a questi disturbi, in quanto esiste una certa linearità tra dose e risposta biologica.
Se l’effetto fisico è preciso, esistono sintomi da astinenza di caffè? Sì, seppure in genere di breve durata, di modesta intensità, e a rapida scomparsa riassumendo un caffè. Sono divisibili in tre gruppi: astenia e cefalea, umore disforico, sintomi fisici simil-influenzali, la cui intensità aumenta quando il consumo di caffeina quotidiano supera i 200 mg al dì. Va ricordato, infatti che, oltre al caffè, la caffeina è presente nel the, nella coca-cola, ma anche nel red-bull, la bevanda di cui sono appassionati giovani e sportivi. In positivo, l’autocontrollo sull’uso del caffè è in genere ottimo, come dimostra il suo uso circadiano, con massimo utilizzo nelle ora mattutine e immediatamente postprandiali, proprio per ottimizzare veglia e attenzione, mentre sale alla sera il consumo del decaffeinato, che mantiene soprattutto il gusto della liturgia.
Quali fattori portano invece la versione italiana del caffè – l’espresso – a vincere sul terreno internazionale, battendo tradizioni molto più consolidate? Un mix di gusto e profumo, unito a una liturgia della preparazione del caffè che fa dell’incontro e della condivisione un momento centrale del piacere di berlo. Una liturgia che si può sintetizzare nell’“italian loving style”. L’uomo è un animale liturgico, vive di gesti al contempo pragmatici e simbolici. Nell’italianissimo “Ti preparo un caffè” sono sintetizzati il gusto di prendersi una pausa, ma anche di prendersi cura dell’altro, con un tempo dedicato, veloce nella preparazione e lento “ad libitum” nella degustazione, condividendo una liturgia multisensoriale di gesti affettuosi, profondamente gratificante.
La liturgia del caffè in casa offre infine dei plus in più: stiamo in casa, o torniamo a casa, come autoterapia contro la sindrome da sradicamento che ci prende vivendo sempre più in estraniate case dormitorio. Diventa allora centrale il gusto della casa-tana, del prendersi cura, dell’assaporare sfiziosamente insieme, meglio se un gran cru, eventualmente decaffeinato se la pausa è serale, con un dolce o del cioccolato di accompagnamento. Un formidabile trigger di endorfine, che dalle papille olfattive e gustative si diffonde sul cervello e sul corpo, come un’onda sull’acqua. Un catalizzatore di benessere condiviso, che attiva contemporaneamente le tre grandi aree motivazionali dei meccanismi di ricompensa: neurobiologica, grazie all’aumento di dopamina, serotonina ed endorfine, le nostre molecole della gioia; psicoemotiva, per la gratificazione del bisogno di attaccamento affettivo, con effetto antistress, antiansia e antisolitudine; e affettiva. Quest’ultima ha diverse declinazioni, a seconda della coppia e del contesto: può essere tipica di una pausa giocosa tra amici; consente una pausa di evasione nel lavori a bassa performance, e una pausa creativa in quelli ad alta perfomance; può catalizzare una pausa afrodisiaca tra due amanti, e una pausa tenera tra familiari, piacevole comunque per tutti e a basso costo.
Ecco che allora anche un dettaglio di vita, come il gusto di prendersi un caffè insieme, può svelarci molto sui bisogni emergenti in una popolazione, non solo dal punto di vista fisico ma anche emotivo, specialmente quando un consumo sale mentre gli altri drasticamente scendono.