«Odio gli indifferenti. […] Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. […] L’indifferenza è il peso morto della storia, ma opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro che apparenza illusoria di questa indifferenza. […] Ma nessuno, o pochi, si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato aiuto. I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. […] Perciò odio gli indifferenti».
Così scriveva Antonio Gramsci, l’11 febbraio 1917, in un articolo inserito nella raccolta “Odio gli indifferenti”, da poco ripubblicato (Editrice Chiarelettere, 2021). Libro di drammatica attualità, sembra scritto ora, con titoli emblematici: “Politici inetti (una verità che sembra un paradosso)”; “L’assistenza è un diritto, non un regalo”; “I doveri di un giudice (elogio di Ponzio Pilato)”. Meno indifferenti, meno collusi, meno ignavi, avrebbero con più efficacia contrastato il fascismo e le molte tragedie che si sono intrecciate alla seconda guerra mondiale. Gramsci diceva anche: «Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza». Due richiami importanti, che restano attualissimi.
Chi sono gli indifferenti? E quanti partiti si interrogano seriamente su come coinvolgere nuovamente gli Italiani a partecipare con impegno alla cosa pubblica? Quella res-publica che esiste, vive e dà frutti buoni solo se è espressione di partecipazione attiva dei cittadini, ciascuno nella sua sfera di azione e per le sue competenze. L’andare a votare è il fiore all’occhiello di una vera democrazia partecipata. Il meeting annuale di Rimini è un esempio luminosamente positivo. Andrebbe studiato, potenziato e diffuso. Obiettivo dunque attualissimo: ridurre il numero degli indifferenti, per scegliere attivamente e non diventare complici dello sfacelo, salvo poi lamentarsene all’infinito.
Assimilare i non votanti con gli indifferenti fa torto tuttavia alla complessità di motivazioni che portano alla disaffezione politica. Prima domanda: a quale gruppo apparteniamo, e con chi ci identifichiamo? Con coloro che voteranno o che non voteranno? E con quali motivazioni? Innanzitutto, ci sono i votanti per vocazione, per un alto senso dello Stato, delle istituzioni democratiche, del diritto e del dovere di essere cittadini protagonisti della vita pubblica, pur riconoscendo i molti limiti delle stesse democrazie. Diritto e dovere prezioso, sconosciuto per millenni alla totalità dell’umanità, conquistato da pochi decenni, da valorizzare. Ci sono gli idealisti, che continuano a scegliere di votare, nonostante delusione, disamore e disincanto, non solo per sé, ma per cercare di lasciare un mondo migliore ai propri figli. Ci sono gli impauriti, in numero crescente: che votano spesso contro partiti e uomini che difendono le loro angosce peggiori. Se temono gli immigrati votano per chi vorrebbe limitarne l’accesso e contro chi parla di solidarietà. Ci sono gli interessati, i “clientes” di romana memoria: “attivi”, che fanno parte del seguito dei politici di ogni colore per averne vantaggi di ruolo, di carriera e di guadagno; e “passivi”, come è successo per il reddito di cittadinanza, una sorta di biberon sociale, che incoraggia l’assistenzialismo. E qual è l’identikit dei non votanti? Ci sono i delusi, che si sentono impotenti, irrilevanti, rassegnati. Che onestamente non sanno chi e perché votare. Delusi dalla falsità strumentale, dal canto delle sirene di promesse mirabolanti, non sostenibili dal punto di vista economico (ancor meno con il tragico debito pubblico che ci ritroviamo dopo decenni di scelte scellerate). Delusi dall’incompetenza, dalla pochezza, dalla inaffidabilità umana e professionale di molti politici. Ci sono gli ignavi, gli indolenti, che Dante colloca nell’Antinferno, «sciagurati che mai non fur vivi, […] a Dio spiacenti e ai nemici sui» (canto III). Ci sono gli apocalittici antisistema, come direbbe Umberto Eco. E i veri indifferenti, gli analfabeti politici, in crescita esponenziale.
A poco meno di un mese dal voto, il richiamo di Gramsci a riappassionarsi alla vita politica è urgente, così come il monito a istruirsi: non solo come invito a proseguire con impegno gli studi, ma a prepararci, a costruire, a condividere conoscenza, competenza e strumenti, per migliorare la nostra intelligenza, la capacità di leggere dentro situazioni e cose. Per impegnarci più attivamente nella realtà, anche politica, del Paese. Per poter scegliere meglio in ogni ambito della vita. E per votare, in coscienza.
Così scriveva Antonio Gramsci, l’11 febbraio 1917, in un articolo inserito nella raccolta “Odio gli indifferenti”, da poco ripubblicato (Editrice Chiarelettere, 2021). Libro di drammatica attualità, sembra scritto ora, con titoli emblematici: “Politici inetti (una verità che sembra un paradosso)”; “L’assistenza è un diritto, non un regalo”; “I doveri di un giudice (elogio di Ponzio Pilato)”. Meno indifferenti, meno collusi, meno ignavi, avrebbero con più efficacia contrastato il fascismo e le molte tragedie che si sono intrecciate alla seconda guerra mondiale. Gramsci diceva anche: «Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza». Due richiami importanti, che restano attualissimi.
Chi sono gli indifferenti? E quanti partiti si interrogano seriamente su come coinvolgere nuovamente gli Italiani a partecipare con impegno alla cosa pubblica? Quella res-publica che esiste, vive e dà frutti buoni solo se è espressione di partecipazione attiva dei cittadini, ciascuno nella sua sfera di azione e per le sue competenze. L’andare a votare è il fiore all’occhiello di una vera democrazia partecipata. Il meeting annuale di Rimini è un esempio luminosamente positivo. Andrebbe studiato, potenziato e diffuso. Obiettivo dunque attualissimo: ridurre il numero degli indifferenti, per scegliere attivamente e non diventare complici dello sfacelo, salvo poi lamentarsene all’infinito.
Assimilare i non votanti con gli indifferenti fa torto tuttavia alla complessità di motivazioni che portano alla disaffezione politica. Prima domanda: a quale gruppo apparteniamo, e con chi ci identifichiamo? Con coloro che voteranno o che non voteranno? E con quali motivazioni? Innanzitutto, ci sono i votanti per vocazione, per un alto senso dello Stato, delle istituzioni democratiche, del diritto e del dovere di essere cittadini protagonisti della vita pubblica, pur riconoscendo i molti limiti delle stesse democrazie. Diritto e dovere prezioso, sconosciuto per millenni alla totalità dell’umanità, conquistato da pochi decenni, da valorizzare. Ci sono gli idealisti, che continuano a scegliere di votare, nonostante delusione, disamore e disincanto, non solo per sé, ma per cercare di lasciare un mondo migliore ai propri figli. Ci sono gli impauriti, in numero crescente: che votano spesso contro partiti e uomini che difendono le loro angosce peggiori. Se temono gli immigrati votano per chi vorrebbe limitarne l’accesso e contro chi parla di solidarietà. Ci sono gli interessati, i “clientes” di romana memoria: “attivi”, che fanno parte del seguito dei politici di ogni colore per averne vantaggi di ruolo, di carriera e di guadagno; e “passivi”, come è successo per il reddito di cittadinanza, una sorta di biberon sociale, che incoraggia l’assistenzialismo. E qual è l’identikit dei non votanti? Ci sono i delusi, che si sentono impotenti, irrilevanti, rassegnati. Che onestamente non sanno chi e perché votare. Delusi dalla falsità strumentale, dal canto delle sirene di promesse mirabolanti, non sostenibili dal punto di vista economico (ancor meno con il tragico debito pubblico che ci ritroviamo dopo decenni di scelte scellerate). Delusi dall’incompetenza, dalla pochezza, dalla inaffidabilità umana e professionale di molti politici. Ci sono gli ignavi, gli indolenti, che Dante colloca nell’Antinferno, «sciagurati che mai non fur vivi, […] a Dio spiacenti e ai nemici sui» (canto III). Ci sono gli apocalittici antisistema, come direbbe Umberto Eco. E i veri indifferenti, gli analfabeti politici, in crescita esponenziale.
A poco meno di un mese dal voto, il richiamo di Gramsci a riappassionarsi alla vita politica è urgente, così come il monito a istruirsi: non solo come invito a proseguire con impegno gli studi, ma a prepararci, a costruire, a condividere conoscenza, competenza e strumenti, per migliorare la nostra intelligenza, la capacità di leggere dentro situazioni e cose. Per impegnarci più attivamente nella realtà, anche politica, del Paese. Per poter scegliere meglio in ogni ambito della vita. E per votare, in coscienza.
Educazione Politica Responsabilità / Diritti e doveri Riflessioni di vita