«Da cinque anni mia mamma sta male. I medici dicono che non c’è niente, che è depressa, che il dolore l’ha in testa. Lei non era così. Era attiva, contenta, lavorava fin dalla mattina presto. Abitiamo in campagna, io sto a pochi chilometri».
«E’ sempre stata così magra?». «Ha perso otto chili nell’ultimo anno. Adesso è trasparente. Piange. Non esce neanche a far la spesa». «Non ho più fiato», mi dice la signora. «Per portarla qui ho dovuto anche minacciarla di non andare a trovarla più!». «Come è cominciato questo dolore, signora?». «Con le cistiti, è cominciato. Con le cistiti». Parla lenta, come se parlare le facesse male. O come se ritenesse inutile raccontare la sua storia una volta ancora, tanto è sfiduciata. «Ne soffrivo un po’ anche da giovane, ma dopo la menopausa sono diventate tremende. Ho sempre bruciore lì, sulla natura [la vulva, NdA], e dolore. Anche sangue, certe volte. Ho preso un sacco di antibiotici. Siccome mi lamentavo che mi sentivo tanto secca, il medico mi ha dato degli estrogeni locali che mi hanno fatto partire un bruciore ancora più forte, come avere il fuoco dentro».
«Gli estrogeni aiutano a curare la secchezza genitale, dopo la menopausa. In condizioni normali è una cura giusta, ma non dopo tanti antibiotici: fanno scatenare la Candida, un fungo che abbiamo tutti. Dopo la menopausa la Candida dorme, ma diventa cattivissima se gli estrogeni la risvegliano. Se poi parte anche una reazione allergica un po’ alterata – aggiungo guardando il figlio – si scatena un’infiammazione molto forte».
Lui ascolta serio. «Infiammare» vuol dire mettere a fuoco – spiego – E’ un incendio biologico, microscopico, che però causa proprio quel senso di bruciore, come giustamente lo chiama sua mamma. Il dolore è tanto più forte quanto più estesa è l’infiammazione. Come il fumo: è tanto più intenso quanto più l’incendio è grande. Il bruciore è una forma di dolore. Un dolore vero, tremendo, come dice giustamente sua mamma».
La signora si sente capita. Prende coraggio: «Adesso ho bruciore sempre, non riesco neanche a stare seduta. Come qualcosa che ti mangia dentro. Non mi invento niente. Ma nessuno mi crede. Anche mio figlio e mio marito non ne possono più».
«Questi sono gli esami che lei ci ha chiesto: glieli ho messi in ordine», aggiunge il figlio. La vitamina D è bassissima. Ha un’osteoporosi severa. Una donna non è un utero che cammina, penso. La visito: i segni del dolore sono evidenti, il quadro è tipico per vulvodinia, con dolore che è diventato malattia (“neuropatico”).
«Penso di poterla aiutare, signora. Con pazienza, però. Anche i pompieri come me – aggiungo sorridendo – hanno bisogno di tempo per spegnere gli incendi grandi. Ho bisogno però che mi aiuti anche lei. Così, intanto che curiamo il bruciore, migliorerà anche l’osteoporosi».
Mi guarda e sorride, finalmente. «Va bene, faccio tutto quello che mi dice, mi basta stare un po’ meglio, anche solo un poco!». Spiego bene la cura antalgica e fisioterapica. Consiglio di camminare al mattino presto, bella dritta, guardando i fiori e il cielo.
La rivedo ogni tre mesi: sta sempre meglio, ha ripreso peso e luce. Dopo quasi un anno, il bruciore è scomparso.
«Sono proprio contento. Per la mamma, prima di tutto. Per quello che ha sofferto, per come si è dovuta impegnare nelle cure. Soprattutto perché ho avuto il tempo di scusarmi con lei, per non aver capito prima tante cose, e che il suo dolore era vero…». Abbassa gli occhi, imbarazzato e commosso.
«Ha un bravo figlio, signora!». Lei sorride, mentre si asciuga rapida una lacrima. Le lacrime di una mamma dicono più di mille parole.
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