Elena è la mia assistente e interprete a San Pietroburgo. Ventitre anni, vivace e sorridente, semplice nel vestire, colta, parla un inglese perfetto e un francese fluido. Ha ottenuto una laurea a pieni voti in storia contemporanea con indirizzo politico. Ha sempre lavorato come guida e interprete, in parallelo all’Università, per mantenersi agli studi e per cominciare a viaggiare all’estero, la sua passione. Scatta una simpatia immediata. Mi colpisce la sua conversazione, con riflessioni acute e precise sulla politica russa contemporanea, anche quando, a colazione, ci si apre a uno sguardo più personale sul mondo. Mi incuriosisce, anche perché è sconfortante il confronto, che si affaccia implicito alla mente, con molti suoi coetanei italiani.
“Che lavoro fanno i suoi genitori?” le chiedo, pensando che una ragazza con questa maturità, questa preparazione e questo spessore di analisi abbia una coppia di genitori intelligenti e colti alle spalle. Errore. “Mio padre non l’ho mai conosciuto. E’ fuggito quando mia madre è rimasta incinta. Così siamo cresciute insieme da sole, io e lei. Mia mamma mi ha tenuto, anche se tutti le consigliavano di abortire, perché aveva un lavoro fisso come impiegata e ha pensato che ce la potesse fare. Ma è stata tanto dura. All’asilo nessuno voleva giocare con me. Essere figlia di una ragazza senza marito era molto negativo, allora. Le cattiverie sono state tante anche se nessuno l’ha mai più vista con un altro uomo. Quando ero piccola le case erano ancora controllate da una donna che riferiva al partito. Si sapeva tutto di tutti. Ed essere una donna sola rendeva mia mamma “sospetta”. La donna che controllava la casa in cui abitavamo, un condominio con tanti piccoli appartamenti, ci guardava sempre con un’aria di rimprovero e di disprezzo. A volte sentivo mia mamma piangere, di notte. Alle elementari, qualcuno, non ricordo chi, mi ha detto che ogni volta che una mamma piange perde un anno di vita. E allora io contavo le volte che mia mamma piangeva, terrorizzata, perché pensavo che se avesse pianto tanto, avrebbe perso tutta la vita. E io, senza di lei, sarei rimasta sola del tutto”. Lo sguardo prima sorridente si incupisce, il volto diventa quello di una bambina spaventata. Affiora una lacrima, subito ricacciata indietro, per pudore e per un’antica abitudine a non dar spazio alle lacrime. “Ero così spaventata all’idea di perderla che facevo di tutto per farla sorridere: tra di me pensavo che se piangere accorcia la vita, ridere magari gliela avrebbe allungata. Ci sono stati anni così duri che tutto il suo stipendio andava per l’affitto, il cibo, il riscaldamento. A volte non c’era nemmeno il denaro per comprarmi una penna. Però ci siamo volute tanto bene. E ho tanta gratitudine per lei”.
“Elena, lei ha davvero un inglese eccellente: quando ha cominciato a studiarlo?”. “A scuola, però all’inizio non mi piaceva tanto, come succede a tutti i bambini. Poi mi è scattato qualcosa, grazie alla mia insegnante di inglese, una donna in gamba che mi voleva bene e aveva tanto rispetto per mia mamma. Per come la trattava, sempre con gentilezza, ho sentito che mi potevo fidare di lei. Una volta che eravamo sole nell’intervallo mi ha detto, ma sottovoce: “Elena, ricordati: chi sa bene il russo, esce dal pantano. Chi sa bene l’inglese, esce dalla Russia. E chi sa bene una terza lingua conquista il mondo... che è la tua vita”. Poi mi ha sorriso e io ho sentito che lei credeva davvero che ce l’avrei fatta. Mi è scattato qualcosa nel cervello, come se finalmente avessi visto chiaro il mio futuro dopo tanto scuro. Ho cominciato a studiare intensamente, a leggere libri e giornali in inglese che mi dava la mia insegnante, e ho iniziato il francese. Studiando ho capito che mi aveva dato la chiave per aprire la porta verso un altro futuro... Questa settimana ho fatto due colloqui di lavoro che sono andati bene. Il mio curriculum è già molto buono, per la mia età. Così mi hanno detto. E mia mamma è finalmente serena, adesso. La cosa più bella me l’ha detta quando mi sono laureata: “Sono proprio contenta di averti voluto tanto, Elena. Perché nulla del bene che ti ho dato è andato perduto...”.
Sì, la condizione di ragazza madre è stata dura in Russia, come in tutto il mondo. Lì, come altrove, ci vuole coraggio per tenersi un figlio, quando l’ostilità sociale è devastante. Ci vuole coraggio per non farsi un alibi delle difficoltà e impegnarsi per un futuro migliore, come ha fatto Elena, pur partendo da una condizione svantaggiosissima. Ci vuole fiducia nella vita per trovare il proprio frammento di azzurro anche nel cielo più nero. E un’insegnante di cuore può essere davvero l’incontro decisivo, capace di intuire le potenzialità di un allievo e di incoraggiarlo a essere se stesso, con illimitata fiducia, nonostante tutte le avversità.
Il codice dell’anima, come direbbe Hillman, il codice cifrato che ci spinge ad agire, ha aiutato Elena a intuire la propria strada e perseguirla, con coraggiosa determinazione, per costruirsi con grande dignità un futuro migliore. La madre e un’insegnante di qualità sono state i suoi angeli maieutici.
Quanti dei nostri adolescenti, nati in condizioni privilegiate, stanno invece buttando via la loro vita?
“Che lavoro fanno i suoi genitori?” le chiedo, pensando che una ragazza con questa maturità, questa preparazione e questo spessore di analisi abbia una coppia di genitori intelligenti e colti alle spalle. Errore. “Mio padre non l’ho mai conosciuto. E’ fuggito quando mia madre è rimasta incinta. Così siamo cresciute insieme da sole, io e lei. Mia mamma mi ha tenuto, anche se tutti le consigliavano di abortire, perché aveva un lavoro fisso come impiegata e ha pensato che ce la potesse fare. Ma è stata tanto dura. All’asilo nessuno voleva giocare con me. Essere figlia di una ragazza senza marito era molto negativo, allora. Le cattiverie sono state tante anche se nessuno l’ha mai più vista con un altro uomo. Quando ero piccola le case erano ancora controllate da una donna che riferiva al partito. Si sapeva tutto di tutti. Ed essere una donna sola rendeva mia mamma “sospetta”. La donna che controllava la casa in cui abitavamo, un condominio con tanti piccoli appartamenti, ci guardava sempre con un’aria di rimprovero e di disprezzo. A volte sentivo mia mamma piangere, di notte. Alle elementari, qualcuno, non ricordo chi, mi ha detto che ogni volta che una mamma piange perde un anno di vita. E allora io contavo le volte che mia mamma piangeva, terrorizzata, perché pensavo che se avesse pianto tanto, avrebbe perso tutta la vita. E io, senza di lei, sarei rimasta sola del tutto”. Lo sguardo prima sorridente si incupisce, il volto diventa quello di una bambina spaventata. Affiora una lacrima, subito ricacciata indietro, per pudore e per un’antica abitudine a non dar spazio alle lacrime. “Ero così spaventata all’idea di perderla che facevo di tutto per farla sorridere: tra di me pensavo che se piangere accorcia la vita, ridere magari gliela avrebbe allungata. Ci sono stati anni così duri che tutto il suo stipendio andava per l’affitto, il cibo, il riscaldamento. A volte non c’era nemmeno il denaro per comprarmi una penna. Però ci siamo volute tanto bene. E ho tanta gratitudine per lei”.
“Elena, lei ha davvero un inglese eccellente: quando ha cominciato a studiarlo?”. “A scuola, però all’inizio non mi piaceva tanto, come succede a tutti i bambini. Poi mi è scattato qualcosa, grazie alla mia insegnante di inglese, una donna in gamba che mi voleva bene e aveva tanto rispetto per mia mamma. Per come la trattava, sempre con gentilezza, ho sentito che mi potevo fidare di lei. Una volta che eravamo sole nell’intervallo mi ha detto, ma sottovoce: “Elena, ricordati: chi sa bene il russo, esce dal pantano. Chi sa bene l’inglese, esce dalla Russia. E chi sa bene una terza lingua conquista il mondo... che è la tua vita”. Poi mi ha sorriso e io ho sentito che lei credeva davvero che ce l’avrei fatta. Mi è scattato qualcosa nel cervello, come se finalmente avessi visto chiaro il mio futuro dopo tanto scuro. Ho cominciato a studiare intensamente, a leggere libri e giornali in inglese che mi dava la mia insegnante, e ho iniziato il francese. Studiando ho capito che mi aveva dato la chiave per aprire la porta verso un altro futuro... Questa settimana ho fatto due colloqui di lavoro che sono andati bene. Il mio curriculum è già molto buono, per la mia età. Così mi hanno detto. E mia mamma è finalmente serena, adesso. La cosa più bella me l’ha detta quando mi sono laureata: “Sono proprio contenta di averti voluto tanto, Elena. Perché nulla del bene che ti ho dato è andato perduto...”.
Sì, la condizione di ragazza madre è stata dura in Russia, come in tutto il mondo. Lì, come altrove, ci vuole coraggio per tenersi un figlio, quando l’ostilità sociale è devastante. Ci vuole coraggio per non farsi un alibi delle difficoltà e impegnarsi per un futuro migliore, come ha fatto Elena, pur partendo da una condizione svantaggiosissima. Ci vuole fiducia nella vita per trovare il proprio frammento di azzurro anche nel cielo più nero. E un’insegnante di cuore può essere davvero l’incontro decisivo, capace di intuire le potenzialità di un allievo e di incoraggiarlo a essere se stesso, con illimitata fiducia, nonostante tutte le avversità.
Il codice dell’anima, come direbbe Hillman, il codice cifrato che ci spinge ad agire, ha aiutato Elena a intuire la propria strada e perseguirla, con coraggiosa determinazione, per costruirsi con grande dignità un futuro migliore. La madre e un’insegnante di qualità sono state i suoi angeli maieutici.
Quanti dei nostri adolescenti, nati in condizioni privilegiate, stanno invece buttando via la loro vita?
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