Se ne è parlato a Roma, nel corso di un Convegno Nazionale promosso dalla Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO), cui ho partecipato sul tema di sport e salute delle adolescenti. Sport come lusso o come amico della crescita, anche femminile? Purtroppo ancora oggi la maggioranza dei genitori considera lo sport, specie nelle ragazze, un fattore accessorio della loro crescita o, addirittura, una “perdita di tempo” rispetto allo studio. Non è così, anzi. Il profilo di rischio, fisico e psicosociale, delle ragazze inattive, che non praticano alcuna attività fisica né sport specifici, è inquietante. Un accurato studio finlandese, appena pubblicato da Marko T. Kantomaa e collaboratori (Kantomaa MT, Tammelin TH, Ebeling HE, Taanila AM. Emotional and behavioral problems in relation to physical activity in youth. Med Sci Sports Exerc. 2008 Oct; 40 [10]: 1749-56), ha dimostrato che le adolescenti inattive hanno un rischio raddoppiato di depressione e di disturbi dell’attenzione, specie a scuola: fattori che incidono sul rendimento scolastico, aumentando il rischio di insuccesso, emarginazione, solitudine e abbandono; un rischio addirittura triplicato di disturbi psicosociali, che includono anche la vulnerabilità all’uso di fumo, alcool e droghe; maggiori disturbi psicosomatici, inclusi i disturbi legati al ciclo, e maggior rischio di comportamenti fuori dalle regole, o francamente antisociali, rispetto alle coetanee fisicamente attive. Un’attenzione che dovrebbe indurci ad appassionare allo sport, iniziando dalla scuola dell’obbligo, anche le ragazze più povere e/o immigrate, che altrimenti hanno la massima probabilità di restare “fuori dal gioco”, inattive ed emarginate, con una significativa amplificazione dei rischi psicosociali, oltre che di quelli legati alla salute. Come? Per esempio, recuperando una pratica attiva dello sport fin dalle elementari (invece di limitarsi alla diffusa fiction – con rare eccezioni – delle ore di educazione fisica) e tornando a dare spazio, attenzione e merito ai “Giochi della gioventù” o iniziative simili, a torto cancellati dai calendari della scuola dell’obbligo. Caro Ministro Gelmini, nella sua riforma includa anche la valorizzazione reale dello sport a scuola!
Essere sportive riduce solo molti rischi psicosociali, o si associa anche, in positivo, a tratti comportamentali e caratteriali che indicano un maggior senso di responsabilità e un maggiore equilibrio esistenziale? Molto dipende dalla motivazione per cui un’adolescente – ma anche un adulto, per la verità – fa sport. La motivazione può essere “espressiva”: di talenti e abilità, di un “ideale dell’Io” sportivo, che spesso è presente fin da piccolissimi, di intelligenza motoria, tattica ed emotiva, ma anche di sano gusto della competizione e della vittoria (gusto che ha una solida base neurobiologica). Oppure essere “difensiva”, rispetto a difficoltà, problemi, ansie e angosce che la giovane donna non riesce ad affrontare sul terreno psicologico. E sono poi queste le ragazze a rischio di costruire un rapporto ossessivo con lo sport, fino alla ben nota triade dell’atleta (donna): disturbi del comportamento alimentare, al limite dell’anoressia; alterazioni del ciclo fino all’amenorrea, ossia al blocco mestruale; e riduzione della densità ossea, fino ad una franca osteoporosi. Ecco che allora comprendere la motivazione – conscia e inconscia – per cui una ragazza fa sport è essenziale per aiutarla a viverlo nella dimensione espressiva, gioiosa e sana, evitando che questa pratica, ottima in sé, se esasperata diventi negativa per la salute. Aspetto ancora più importante per le atlete impegnate ad altissimi livelli di competizione.
Nell’adolescenza esiste dunque un conflitto tra segni di femminilità, di cui è principe il ciclo mestruale, e pratica sportiva. Un dato paradossale, perché è dimostrato che proprio lo sport induce una riduzione significativa dei sintomi premestruali e della dismenorrea, migliora il rapporto con il proprio corpo e con la femminilità. Vantaggi che si amplificano con la scelta di una contraccezione consapevole e amica del fitness. Le pillole anticoncezionali possono infatti allearsi alla performance sportiva, anche ad alto livello, poiché favoriscono il controllo dei sintomi mestruali, riducono le fluttuazioni d’umore e permettono di “programmare” le mestruazioni per evitare che coincidano con una gara importante. Non solo. Consentono all’atleta di vivere in piena serenità la propria intimità sessuale, senza rischi e senza angosce da contraccezione mancata.
In effetti, per la maggioranza delle ragazze sportive “per passione”, il bilancio psicoemotivo è molto positivo anche sul fronte dell’intimità e della sessualità. Molteplici studi confermano un identikit della sportiva estremamente interessante, anche per i genitori sempre più preoccupati dei comportamenti precoci delle loro fanciulle. La “prima volta”, per le sportive, capita infatti più tardi rispetto alle coetanee: quasi due anni dopo, rispetto alle ragazze inattive. Due anni essenziali per maturare, crescere emotivamente e imparare a negoziare tempi e modi dell’intimità. E’ una prima volta più “scelta”, e non subìta. Le sportive sono, mediamente, più consapevoli, si proteggono, usano con più probabilità la pillola e il preservativo; hanno un numero più ridotto di partner e minore rischio di gravidanze indesiderate. Sono affettivamente più mature e sessualmente più responsabili rispetto a chi non pratica attività fisica. Hanno stili di vita nettamente più sani, non fumano, raramente usano alcolici, non usano sostanze. Inoltre sono significativamente meno depresse delle coetanee inattive e possiedono una migliore autostima, anche perché più abituate a mettersi alla prova e ad affrontare gli ostacoli: un allenamento a migliorare non solo l’intelligenza motoria, ma soprattutto l’intelligenza emotiva e la capacità di autodisciplina. Un’ impronta, uno stile, che le accompagnerà tutta la vita. Non ultimo, hanno un’immagine corporea nettamente migliore rispetto alle coetanee che non fanno sport.
Un beneficio solo per le giovani? No, l’essere sportive per tutta la vita porta molti altri benefici. Fino alla menopausa e ad una luminosa vecchiaia, cui le sportive arrivano più in forma e con un minor rischio di osteoporosi e malattie cardiovascolari. E quando purtroppo capitano i problemi, come ad esempio un cancro, le donne fisicamente attive riescono a combatterli con maggior vigore: per esempio, l’incremento dell’attività fisica dopo una diagnosi di tumore del seno riduce del 45% il rischio di morte in queste pazienti rispetto a quelle inattive. Eppure le italiane restano insensibili a questi vantaggi. Pur essendo fanatiche del naturale, non fanno poi la cosa più naturale del mondo: muoversi! Come fare per invertire questa tendenza? Pensare all’attività fisica con passione, come alla migliore amica della salute, della bellezza e del gusto di vivere.
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