La aumenta con due modalità: generica e specifica. Generica, perché rimettendo in libertà gli autori di cosiddetti piccoli reati contro il patrimonio, ladri e rapinatori, esaspera il già elevato senso di vulnerabilità della nostra popolazione, tanto più se costituita da persone anziane, sole o che vivono isolate. E specifica, nei confronti delle vittime di delitti passionali e dei loro familiari.
I promotori del provvedimento di indulto nei confronti di reati contro la persona non hanno tenuto in alcun conto il clima di terrorismo psicologico e di concreti rischi fisici – fino all’assassinio – cui hanno di fatto condannato le vittime di questi delitti.
Perché? Chiaro: chi è stato denunciato e condannato per un delitto passionale ha in sé, nella maggioranza dei casi, una sostanziale e devastante voglia di vendetta. Una voglia distruttiva, fatta di collera, rancore, rabbia, voglia di farla pagare cara: perché l’autore di abusi o delitti, in senso lato “passionali”, ritiene di avere un diritto sulla persona percossa, battuta, ferita o violentata, che gli deriva dalla sua stessa passione. Un diritto sul suo corpo, che può essere punito fino alla morte, se lei (meno frequentemente lui) osa sottrarsi alle sue attenzioni, al suo desiderio, alla sua voglia di possederla per sempre. E un diritto sulla sua anima se lei, ancora peggio, non ricambia questo bisogno di possesso con amore. Spesso, chi ha compiuto questi reati ha una personalità disturbata, con una specifica difficoltà o incapacità a controllare e bloccare i propri impulsi distruttivi. La sua pericolosità, quindi, resta inalterata, o addirittura peggiora, se l’uomo ha vissuto la denuncia che aveva portato alla condanna come un tradimento. La voglia di vendetta può essere allora così pervadente che l’unico progetto che l’uomo coltiva nel suo intimo è quello di farla pagare cara, e per sempre, non appena sarà libero.
Hanno riflettuto, i promotori di questo tipo di indulto, sui sentimenti delle vittime che ritrovano a piede libero l’uomo che già “gliel’aveva giurata”? Hanno provato ad immedesimarsi per un giorno nella vita di una donna che sa che in ogni minuto quell’uomo potrebbe affacciarsi alla sua porta? Aspettarla di sera dopo il lavoro con un coltello? Minacciarla telefonicamente? Seguirla in ogni suo passo? Tormentarla, con un assedio psicologico e fisico, fino ad ucciderla, come è purtroppo successo in casi recenti di cronaca, e come poteva succedere anche ieri? Sanno che cosa voglia dire vivere nel terrore di un ritorno, con una furia omicida esasperata, di un uomo che già ti aveva ferito, battuto o violentato, per mesi o anni, nell’anima e nel corpo?
Hanno provato, per un secondo, a immedesimarsi nei genitori, nei fratelli, o nei figli di una donna uccisa solo perché aveva osato esprimere l’intenzione di lasciare l’uomo che la tormentava? Un uomo libero dopo soli sei anni dall’assassinio. Quella donna vale meno di un animale? E i sentimenti di lutto, di dolore, di perdita della sua famiglia, contano meno di zero?
Non ultimo, penso anche alla frustrazione di chi, tra le nostre Forze dell’ordine, crede ancora all’alto valore etico, oltre che sociale, del proprio lavoro che vede mortificato, vanificato, azzerato, da questa corsa alla liberazione dei colpevoli, dopo anni di lavoro e di dedizione. Tanto più che la maggior parte di questi delinquenti tornerà a commettere gli stessi delitti. Quindi la storia del sovraffollamento è di fatto un alibi politico che in realtà ha due soli esiti: aumentare il rischio concreto della popolazione e la frustrazione nelle Forze dell’ordine.
Possibile che debba essere ancora una volta umiliata proprio la parte moralmente più sana della nostra popolazione? Non si può e non si deve tacere: c’è un dovere di solidarietà, di comprensione e protezione nei confronti delle vittime che non può e non deve diventare secondario rispetto a questo perdonismo imperante e strumentale. E’ tempo che chi sta dalla parte di Abele lo dica forte e chiaro, con coerenza e coraggio. E si comporti di conseguenza, perché uno Stato che non protegge chi è già stato vittima, diventa di fatto complice nel ri-massacrarla.
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