Ragusa A, Svelato A, Santacroce C, Catalano P, Notarstefano V, Carnevali O, Papa F, Rongioletti MCA, Baiocco F, Draghi S, D'Amore E, Rinaldo D, Matta M, Giorgini E.
Plasticenta: first evidence of microplastics in human placenta
Environ Int. 2021 Jan;146:106274. doi: 10.1016/j.envint.2020.106274. Epub 2020 Dec 2
Illustrare i risultati di una recente ricerca che ha portato a scoprire frammenti di microplastica nella placenta di alcune donne italiane: è questo l’obiettivo dell’articolo pubblicato in open access su «Environment International» dal professor Antonio Ragusa e collaboratori, del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Fatebenefratelli sull’Isola Tiberina, Roma. Allo studio hanno partecipato, fra gli altri, anche l’Università Politecnica delle Marche ad Ancona, e l’Università di Pavia.
Le microplastiche sono particelle di lunghezza inferiore ai 5 millimetri derivanti dalla degradazione degli oggetti di plastica presenti nell’ambiente.
Lo studio è stato condotto su sei frammenti di placenta umana, raccolti da donne con gravidanze fisiologiche e analizzati con la microspettroscopia Raman, una tecnica di analisi dei materiali basata sulla diffusione di radiazioni elettromagnetiche monocromatiche da parte dei campioni analizzati. In quattro reperti sono stati identificati 12 frammenti di microplastica, tutti pigmentati, di grandezza variabile dai 5 ai 10 μm (1 micrometro corrisponde a un milionesimo di metro, ossia 1 millesimo di millimetro), di forma sferica o irregolare, così localizzati:
- 5 dal lato fetale;
- 4 dal lato materno;
- 3 nella membrana corionamniotica.
L’analisi con metodica Raman è stata condotta presso il Laboratorio di Spettroscopia vibrazionale dell’Università Politecnica delle Marche. Tutte le particelle di microplastica sono state caratterizzate in termini di morfologia e composizione chimica.
Si tratta del primo studio che documenta la presenta di microplastiche e, in generale, di manufatti nella placenta umana. Non sappiamo se queste particelle abbiano raggiunto il flusso sanguigno attraverso il sistema respiratorio o il tratto gastrointestinale. E’ invece certo che esse possono compromettere il decorso della gestazione, alterando la comunicazione biochimica madre-feto e scatenando reazioni immunitarie incontrollate.
Questi primi risultati, concludono gli Autori, dovranno ora essere approfonditi da studi più estesi volti a verificare la frequenza e le conseguenze di questa particolarissima forma di contaminazione.
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