Il digiuno volontario per uno o due giorni non consecutivi la settimana, completo o con riduzione calorica al 25% dell’abituale, ha ancora un posto nel nostro progetto di salute contemporaneo? Sì. Lo sostengono diversi tipi di evidenze. La prima, osservazionale. Alcuni gruppi religiosi, per esempio i membri del “Seventh-day Adventist Church”, gruppo protestante diffuso negli USA, che praticano stili di vita molto sani, tra cui il digiuno settimanale e un’alimentazione quasi vegetariana, da cui è escluso l’alcol, vivono mediamente 7 anni e 3 mesi di più rispetto agli altri americani bianchi. Un altro gruppo religioso, con simili attenzioni alimentari, ha dimostrato di avere il 59% in meno di diabete e il 58% in meno di malattie cardiovascolari. Risultati strepitosi, se si pensa che richiedono “solo” una sostanziale sobrietà e digiuno volontario settimanale, rispetto ai disastri sulla salute e ai costi conseguenti, personali e sanitari, dell’alimentazione libera, “ad libitum”.
La seconda evidenza deriva dagli studi sugli animali che dimostrano come il digiuno intermittente prevenga la comparsa di diabete e altre malattie dismetaboliche, e ne riduca la progressione e le patologie associate.
La terza è biochimica. Il digiuno periodico fa benissimo: così sostiene la “precision medicine”, la medicina di precisione, che va a guardare i più fini correlati biochimici delle condizioni di salute o di malattia, e, in particolare, l’impatto di modifiche comportamentali, tra cui lo stile alimentare, sulla biochimica umana e animale.
Perché il digiuno fa così bene? Per tre ragioni. La prima riguarda i ritmi circadiani. L’evoluzione della specie ha portato a selezionare le attività che ottimizzano la salute nelle ore diurne e in quelle notturne. Più i bioritmi sono rispettati, più siamo sani, più ci sentiamo energetici e pimpanti. Il mangiare regolarmente, con orari costanti e cena possibilmente entro le 19, ottimizza i bioritmi del sonno, grande custode della salute e del benessere perché dirige l’attività di migliaia di geni essenziali per il buon funzionamento delle nostre cellule. Di converso, il mangiare tardi la sera e magari tanto, come si tende oggi a fare in Italia, altera il ritmo sonno-veglia, peggiora la qualità del sonno e sconvolge molti altri bioritmi, tra cui quello della pressione arteriosa. Non ultimo, aumenta la sintesi di ghrelina, che stimola l’appetito per cibi grassi e dolci, in un circolo viziosissimo, contribuendo a un ambiente metabolico sempre più ostile, in termini di salute.
La seconda ragione riguarda, pensate, il microbiota gastrointestinale, ossia quei trilioni di micro-organismi che abitano il nostro intestino e dalla cui attività dipendono, tra l’altro, il livello di infiammazione addominale e sistemica, la vulnerabilità ad allergie e intolleranze alimentari, ad infezioni e al malassorbimento, per non parlare delle molte conseguenze sul funzionamento del cervello lungo il famoso asse intestino-cervello (“gut-brain axis”), dalle impensabili, ricchissime connessioni.
La terza ragione riguarda gli stili di vita modificabili: quasi tutti i regimi con digiuno riducono di fatto le ore in cui è possibile assumere cibo. Di conseguenza, viene ridotto anche l’introito calorico globale, con un disciplina mentale, prima ancora che alimentare, che diventa una solida alleata di salute quando sia divenuta gradita abitudine.
E allora? Di fatto stiamo dando consistenza scientifica a intuizioni millenarie e trasversali, presenti in tutte le culture e religioni. Il digiuno “purifica”, dicevano gli antichi. Certamente disintossica dall’infiammazione, intestinale, sistemica e mentale. L’attenzione alla scelta del cibo non può essere separata dal “quando”, “come” e “quanto” si mangia. La sobrietà nella scelta e nei bioritmi alimentari aiuta la salute, toglie peso e cellulite, potenzia la lucidità mentale, l’efficacia del pensiero e delle decisioni, la limpidezza interiore. Per chi crede, aiuta la spiritualità. Che sia il caso di riscoprire il venerdì di digiuno, o, almeno, di cibo molto leggero?
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