“Sono disperata. Non mi riconosco più. Ho 32 anni, due bambini piccoli, un bravo marito. Lavoro come impiegata. A letto tardi alla sera, per finire i lavori, quando i piccoli dormono. E sveglia alle sei. Tre mesi fa, il primo spavento. All’improvviso, un sabato mattina, il cuore mi ha cominciato a battere all’impazzata. Tremavo tutta, avevo un’angoscia pazzesca. Ho creduto che mi stesse venendo un infarto. Sudavo freddo, mi mancava il respiro. Mio marito si è spaventato da morire e mi ha portata di corsa al pronto soccorso. I medici mi hanno fatto l’elettrocardiogramma e la visita e mi hanno tranquillizzata: “E’ solo stress, signora”. La cosa si è ripetuta altre due volte: alla terza il medico ha fatto una diagnosi diversa: “Attacco di panico”. Mi ha prescritto degli psicofarmaci, dicendo che mi avrebbero fatto stare meglio. Io però non voglio prenderli: non sono matta! Ho pensato di lasciare il lavoro, se la causa è lo stress. Cosa posso fare per ritrovare un po’ di serenità? E perché l’attacco di panico mi dà dolore al cuore?”.
R.S. (Palermo)
R.S. (Palermo)
Intuisco quello che sta provando, gentile signora. Cercherò di spiegarle che cosa succede nel suo corpo, durante l’attacco di panico, cosicché lei possa poi con fiducia iniziare la terapia, farmacologia e di stile di vita, che la farà stare definitivamente meglio.
Il nucleo dell’attacco di panico è costituito da un terremoto improvviso di adrenalina, l’ormone dello stress, che si libera in risposta all’attivazione di un’area del cervello che regola i nostri sistemi di allarme e sopravvivenza. Nell’attacco di panico questa zona non si attiva in risposta a una minaccia esterna all’individuo (per esempio, un’aggressione, o una situazione comunque di pericolo obiettivo) ma in risposta a stimoli interni (per esempio, il sommarsi di lunghi periodi di stress, che mettono alla prova i nostri sistemi di difesa). I quali, alla fine, scattano improvvisamente, come succede quando un sistema di allarme va in tilt e comincia a suonare senza motivo. L’adrenalina, potente vasocostrittore e broncocostrittore, causa la sensazione di dolore cardiaco, la sudorazione fredda, la fame d’aria, l’ansia incontrollabile. L’attacco di panico tende a ripetersi, perché l’organismo è in riserva. E’ un grande nemico della vita personale e familiare, perché causa solitudine e autoreclusione in casa. Anche l’idea di lasciare il lavoro, figlia dell’angoscia, non va incoraggiata. Meglio prendersi un periodo di riposo, una fase di aspettativa per recuperare energie, ma poi tornare a una vita normale.
Il nucleo dell’attacco di panico è costituito da un terremoto improvviso di adrenalina, l’ormone dello stress, che si libera in risposta all’attivazione di un’area del cervello che regola i nostri sistemi di allarme e sopravvivenza. Nell’attacco di panico questa zona non si attiva in risposta a una minaccia esterna all’individuo (per esempio, un’aggressione, o una situazione comunque di pericolo obiettivo) ma in risposta a stimoli interni (per esempio, il sommarsi di lunghi periodi di stress, che mettono alla prova i nostri sistemi di difesa). I quali, alla fine, scattano improvvisamente, come succede quando un sistema di allarme va in tilt e comincia a suonare senza motivo. L’adrenalina, potente vasocostrittore e broncocostrittore, causa la sensazione di dolore cardiaco, la sudorazione fredda, la fame d’aria, l’ansia incontrollabile. L’attacco di panico tende a ripetersi, perché l’organismo è in riserva. E’ un grande nemico della vita personale e familiare, perché causa solitudine e autoreclusione in casa. Anche l’idea di lasciare il lavoro, figlia dell’angoscia, non va incoraggiata. Meglio prendersi un periodo di riposo, una fase di aspettativa per recuperare energie, ma poi tornare a una vita normale.
E' vero che l'attacco di panico colpisce di più le donne?
Sì. Interessa l’1-3 per cento della popolazione generale, colpendo le donne due volte di più rispetto agli uomini. Ha un primo picco nell’adolescenza e un secondo intorno ai 35 anni. Ha una forte predisposizione genetica: ecco perché servono i farmaci. L’attacco di panico è più frequente nei gemelli identici (“monozigoti”) e otto volte più probabile nei familiari di una persona che già ne sia colpita, rispetto alla popolazione generale. Lo stress fa da detonatore a questa vulnerabilità genetica: l’80 per cento delle vittime di attacchi di panico ha avuto un periodo di forte stress nell’anno precedente il primo attacco. Le donne sono più colpite, dopo la pubertà, perché i sistemi neurobiologici che sottendono le emozioni dell’ansia e del panico sono modulati dagli estrogeni.
Perché l'attacco di panico paralizza la vita?
Chi ne è colpito inizia, come lei, ad avere un vero e proprio terrore che l’attacco si ripeta. Teme che le conseguenze possano una volta o l’altra essere fatali. Tende a evitare ogni contatto sociale e a rinchiudersi in casa, come se lo stare nella tana lo/la proteggesse in qualche modo dal ripetersi di un’esperienza così terrificante. Il panico si associa ad ansia e depressione. “Non vivo più” è la frase ricorrente di chi abbia provato sulla propria pelle un attacco di panico. Che si associa a uno sconfortato “Non viviamo più nemmeno noi!” nei familiari.
Come si fa a capire se un malessere è spia di un attacco di panico?
Due sono le domande critiche: “Negli ultimi sei mesi le è capitato di sentirsi improvvisamente terrorizzata, ansiosa e/o molto a disagio?” e “Le è successo di sentire improvvisamente il cuore battere all’impazzata, si è sentito/a debolissimo e le mancava il fiato?”. Se si risponde “sì”, c’è una forte probabilità di essere vulnerabili al panico. In positivo, il seguire i suggerimenti che le indico l’aiuterà a recuperare rapidamente il suo equilibrio e una piena serenità.
Approfondimento – Come prevenire l'attacco di panico e come uscirne?
- Con stili di vita che ridiano equilibrio al corpo e stabilizzino i circuiti del panico e della paura: ridurre lo stress, dormire almeno otto ore per notte, fare movimento fisico quotidiano, praticare lo yoga o il training di rilassamento, che attraverso la modulazione del respiro, e la conseguente riduzione della tensione, sono alleati potenti del benessere interiore.
- Evitando tutti gli eccitanti (caffè, thé, oltre ovviamente alle droghe quali cocaina o ecstasy, che possono scatenare il panico da sole).
- Preziosissimi sono gli psicofarmaci, a torto ancora demonizzati come se ci fosse una “colpa” nell’essere colpiti da questi terremoti del corpo. Gli “Inibitori della ricaptazione della serotonina” (SSRI) e le benzodiazepine calmano il sistema di allarme che è in tilt. Per questo possono rapidamente ridare qualità di vita a persone che letteralmente non vivono più, che arrivano a lasciare il lavoro, lo studio, gli amici, i viaggi, qualsiasi attività, perché paralizzati dalla paura che l’attacco si ripeta.
- Un piccolo segreto: è saggio iniziare da dosi minime e salire gradualmente alla dose terapeutica, perché possibili effetti collaterali possono comparire prima dell’effetto curativo, se non si rispetti questa regola base di gradualità. Lo stesso vale per la riduzione dei farmaci, quando il benessere è stato ritrovato stabilmente.
- In parallelo, nelle forme più severe, una psicoterapia di tipo cognitivo comportamentale (con terapeuti specializzati in quest’area) ottimizza il risultato del farmaco.
- Evitando tutti gli eccitanti (caffè, thé, oltre ovviamente alle droghe quali cocaina o ecstasy, che possono scatenare il panico da sole).
- Preziosissimi sono gli psicofarmaci, a torto ancora demonizzati come se ci fosse una “colpa” nell’essere colpiti da questi terremoti del corpo. Gli “Inibitori della ricaptazione della serotonina” (SSRI) e le benzodiazepine calmano il sistema di allarme che è in tilt. Per questo possono rapidamente ridare qualità di vita a persone che letteralmente non vivono più, che arrivano a lasciare il lavoro, lo studio, gli amici, i viaggi, qualsiasi attività, perché paralizzati dalla paura che l’attacco si ripeta.
- Un piccolo segreto: è saggio iniziare da dosi minime e salire gradualmente alla dose terapeutica, perché possibili effetti collaterali possono comparire prima dell’effetto curativo, se non si rispetti questa regola base di gradualità. Lo stesso vale per la riduzione dei farmaci, quando il benessere è stato ritrovato stabilmente.
- In parallelo, nelle forme più severe, una psicoterapia di tipo cognitivo comportamentale (con terapeuti specializzati in quest’area) ottimizza il risultato del farmaco.