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Padri di qualità

02/07/2007

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Di che cosa hanno bisogno i bambini e gli adolescenti di oggi? Di padri presenti e di qualità, oggi più di ieri. La ragione? Mentre in passato la figura maschile/paterna, con tutta la sua forza normativa, era il pilastro della società (non a caso definita patriarcale, nel bene e nel male) oggi assistiamo ad una fortissima femminilizzazione delle società occidentali, specie nell’educazione. Il che non è del tutto positivo, contrariamente al pensiero comune.
Il fatto: in casa, i bambini vivono sempre più in nuclei costituiti dalla sola madre, spesso lontano dalle famiglie di origine, il che priva i bambini non solo di una presenza paterna costante, ma anche di figure sostitutive stabili, quali possono essere il nonno o uno zio di qualità. A scuola, materne e primarie hanno ormai insegnanti donna nel 90 per cento dei casi. La percentuale scende di poco alle medie e solo alle superiori si può arrivare, nei casi più felici, ad un terzo di insegnanti uomini. Questo squilibrio tra presenze femminili – ora nettamente dominanti – nella vita dei piccoli, rispetto alle figure maschili, non è privo di consequenze. Questo eccesso di “weltanschauung”, di concezione e visione del mondo femminile, come dicono i tedeschi, comporta infatti innanzitutto una carenza di modelli di riferimento, di identità e di ruolo, di tipo maschile, nella vita reale dei nostri piccoli.
Con quali conseguenze? Da un lato, una riduzione delle possibilità di costruire una solida identità maschile: basti guardare il crescente numero di adolescenti maschi fragili e insicuri, specie in ambito urbano metropolitano (dove sono massime le famiglie mononucleari costituite da madri sole, o con padri assenti, e lontane dalle famiglie di origine). Fragilità dell’Io, insicurezza, scarse possibilità di interagire con un padre presente, solido e affettuoso, privano il figlio maschio di un modello di riferimento su cui costruire la propria identità. Dell’importanza dei “neuroni specchio”, le cellule nervose che rispecchiano un comportamento fino a consentire di realizzarlo, abbiamo già parlato. Essi sono essenziali in tutto il processo di apprendimento: il guardare (ma anche l’ascoltare) un adulto amato, genitore in primis, stimola il cervello costituendo tutta una serie di modelli di riferimento comportamentali, psichici, attitudinali, e perfino sportivi o professionali. Attraverso l’imitazione degli aspetti del padre in cui il figlio si riconosce sta la base non solo della continuità affettiva, oltre che genetica, della famiglia, ma anche la qualità del suo apporto maschile alla società. Certo anche in passato c’erano figure paterne negative. Complessivamente, tuttavia, il tanto vituperato sistema patriarcale aveva un pregio indiscutibile: la capacità di trasmettere delle regole chiare di comportamento, di farle condividere nella famiglia come nel macrocosmo sociale, di trasmettere il senso di responsabilità, oggi crescentemente latitante, e un’etica del lavoro sempre più erosa. In compenso negativo, sempre per restare nel sistema educativo, sussistono, soprattutto a livello universitario, maggioranze maschili che tuttavia sembrano aver perso, come gruppo sociale, e con tutte le eccezioni del caso, proprio le caratteristiche del maschile di eccellenza. Oggi dominano il sistema lobbistico nella attribuzione degli incarichi, la corruzione nei concorsi, e un crescente disinvestimento dalla didattica come area di eccellenza della propria professionalità di docente. Con una conseguente perdita sostanziale di senso e la perdita di insegnamenti di qualità per gli allievi, lasciati sempre più a se stessi, con esamini a test svuotati di spessore, senza un allenamento a saper pensare in ciascuna disciplina. In secondo luogo, la riduzione del numero di padri di qualità in cui riconoscersi (massima negli Usa), e la conseguenza perdita del senso delle regole, aumenta la vulnerabilità degli adolescenti a comportamenti autodistruttivi e antisociali, soprattutto nelle aree urbane dove è maggiore la disgregazione delle famiglie.
La femminilizzazione della società (parlo per estremi, per semplificare) oltre a tutti i benefici su cui non mi soffermo, ha anche comportato un eccessivo ammorbidimento nei confronti del mancato rispetto delle regole, contribuendo alla deriva delle norme sotto gli occhi di tutti. La sostanziale differenza fra tre aspetti cardinali – spiegare un comportamento, comprenderlo e giustificarlo – è stata tragicamente smarrita. Oggi spiegare equivale a giustificare e ad assolvere con un errore di giudizio che non è solo concettuale o semantico, ma soprattutto educativo ed etico. Perché azzera il valore della responsabilità personale, minimizza la possibilità e il dovere di cambiare un comportamento errato e anche la possibilità di determinarsi in modo diverso rispetto alle proprie origini. Con un giustificazionismo – “poverino, poverina” – che ha fatto soprattutto dell’aver avuto problemi nell’infanzia o condizioni disagiate, un alibi, se non una giustificazione, per qualsiasi comportamento, anche gravemente lesivo.
Certo, va valorizzato il buono che il codice femminile/materno ha portato alla società, in termini di attenzione alle differenze sociali, ai meno fortunati, alla sofferenza individuale, alla diversità. Alla possibilità di essere compiutamente se stessi, e di esprimere talenti maschili o femminili, indipendentemente dal proprio sesso, senza rigidi schemi di ruolo. Apertura che ha consentito alle donne la preziosa immissione nel lavoro extradomestico e ai maschi di esprimersi in aree tradizionalmente considerate femminili.
Tuttavia, una valorizzazione del principio maschile è ora urgente e necessaria. Come tutte le grandi rivoluzioni, non può che cominciare dal basso, da ciascuno di noi, con un movimento di consapevolezza e di assunzione di responsabilità. Innanzitutto dei padri: con un impegno a essere più presenti nella vita dei figli, non solo per viziarli o iperproteggerli da qualsiasi difficoltà della vita (codice materno), ma per dare loro un esempio positivo di virilità, sperabilmente sana ed etica, in casa, sul lavoro, e nella vita. Stando il più possibile con i figli, anche dopo una eventuale separazione (e su questo le donne separate dovrebbero collaborare invece di usare troppo spesso i figli come strumenti di contrattazione contro i padri). Incoraggiando i figli a provarsi con le difficoltà della vita, sostenendoli senza giustificarli a oltranza quando sbagliano. Poi coinvolgendo la scuola: personalmente sarei favorevole ad incentivi per far aumentare il numero di insegnanti uomini nelle medie e nelle superiori, presenza di cui c’è un immenso bisogno.
Credo che i nostri bambini e i nostri adolescenti, maschi e femmine, crescerebbero più solidi, più emotivamente sani, più innamorati della vita, se un padre presente dicesse loro con affetto, di fronte ad errori piccoli o grandi: “Succede di sbagliare, quando si ha tanta voglia di fare e ci si prova con la vita. Tre cose ti chiedo: cerca di capire perché hai sbagliato, così non ripeterai più lo stesso errore. Assumiti la responsabilità degli errori che hai fatto, senza incolpare altri. E se hai fatto un danno ad altri, cerca di ripararlo”. Questo mi insegnava un padre di qualità, molto amato. Quanti padri (e madri) educano oggi i propri figli con questi principi?

Adolescenti e giovani Bambini Educazione Rapporto padri-figli Riflessioni di vita

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