Perché si muore ancora di parto? La causa più frequente e drammatica è l’emorragia massiva: la donna può arrivare a perdere 6 litri di sangue, entrare in shock emorragico, e ricevere 10 sacche o più di sangue in pochi minuti. L’emorragia può dipendere da fattori diversi. Innanzitutto, per anomalie della placenta, con tre caratteristiche principali: problemi di annidamento in utero, di sede di impianto e di tempo errato (“intempestivo”) di distacco.
Nel primo caso, la placenta si “annida”, troppo all’interno della parete dell’utero (placenta “accreta”, “increta”, “percreta”, a seconda di quanto si approfondisce: maggiore la profondità, peggiori le conseguenze). Dopo il parto, nel momento del “secondamento”, in cui la placenta dovrebbe essere espulsa “per seconda”, dopo il bambino, questo non succede perché i villi, le “radici” della placenta che servono a “pescare” nel sangue materno per nutrire il bambino, non si staccano perché troppo radicati. A quel punto l’utero non riesce contrarsi e a bloccare la perdita di sangue. Ed ecco l’atonia dell’utero mentre il sangue esce a fiotti: se la donna è già in ambiente medico di eccellenza (il cosiddetto “terzo livello”), trasfusioni massive, ossitocina e altri farmaci per fermare l’emorragia e, se non basta, chirurghi velocissimi a eseguire l’isterectomia (asportazione dell’utero) d’urgenza, mentre gli anestesisti sono impegnati sul fronte della rianimazione, più difficile quando lo shock emorragico è avanzato, possono riuscire a salvare la donna. Non sempre. L’ultimo studio pubblicato da Green e collaboratori sul British Journal of Obstetrics and Gynecology del 23 dicembre 2015 e condotto nei centri di eccellenza del Regno Unito su 181 donne con emorragia massiva dopo il parto riporta: due donne morte, mentre il 45% ha avuto l’isterectomia d’urgenza, l’82% il ricovero in rianimazione; ben il 28% ha riportato esiti gravi a lungo termine: shock emorragico e trasfusioni a raffica possono infatti creare lesioni permanenti e irreversibili, fra cui insufficienza renale grave, danni epatici, polmonari e cerebrali. Un bilancio pesante anche in centri egregi.
La seconda causa è la posizione della placenta: che dà luogo a sanguinamenti pericolosi quando è posta “previa”, ossia nella parte interna del collo dell’utero, davanti alla vagina. Nel momento in cui inizia la dilatazione del collo dell’utero, la placenta si stacca prematuramente (perché il bimbo è ancora in utero): inizia l’emorragia con la sofferenza fetale (perché la placenta è il polmone del bambino finché questi non è nato e respira autonomamente). Qual è il punto? La placenta previa si diagnostica bene con l’ecografia: il segnale di allarme scatta quando il bordo è posto a meno di due centimetri dal centro del collo, detto orifizio uterino interno. In tal caso si fa il taglio cesareo “di elezione”, prima che parta il travaglio, meglio se in un centro di eccellenza, e il problema è prevenuto. La placenta accreta è di più difficile diagnosi. Ci si riesce in circa il 50% dei casi. Il rischio aumenta dopo pregresso taglio cesareo: si può ridurre il rischio riducendo il numero di tagli cesarei e facendo ecografie più accurate.
La terza causa pericolosa è il distacco “intempestivo” di placenta, durante la gravidanza. Il feto va in sofferenza da asfissia: non riceve più ossigeno. Il sangue si accumula tra la placenta e l’utero e ne causa un infarto, che richiede un’isterectomia d’urgenza. Se si crea una “coagulazione intravascolare disseminata”, la donna muore per emorragia massiva e inarrestabile. Bisogna trovarsi in sala parto in queste situazioni che, a volte, esplodono senza alcun fattore di rischio evidente. In termini assoluti, si tratta di eventi rari. Ma quando avvengono, è un dramma per tutti. In più, altri fattori di rischio sono in agguato. Li vediamo la prossima settimana, per capire come prevenirli e/o diagnosticarli in tempo, quando possibile.
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