“Ero in Gran Bretagna e mi ha molto colpito la notizia di Gary Reinbach, un ragazzo 22enne inglese morto dopo che i medici gli avevano rifiutato il trapianto di fegato (aveva una cirrosi da alcol), perché non aveva dimostrato di poter star lontano del bere alcolici per almeno sei mesi. Ho conservato l’articolo perché questa storia mi ha toccato molto. Ma allora dobbiamo curare solo i meritevoli? E gli altri? Niente più cure o meno cure per fumatori, alcolizzati od obesi? A me sembra molto ingiusto. La medicina non dovrebbe aiutare tutti? Lei, come donna e come medico, che cosa ne dice?”.
Simona T. (Milano)
Simona T. (Milano)
Cara Simona, le dico subito – temo, dispiacendole – che, in questo caso specifico, sono d’accordo con i colleghi inglesi. Per alcune ragioni: la prima, fondamentale, è clinica. Un trapianto di fegato ha pochissime probabilità di avere successo se il paziente continua a bere. Il povero fegato, già sottoposto allo shock del trapianto e della terapia immunosoppressiva, può essere definitivamente scompensato da un ulteriore sovraccarico alcolico. Prima di trapiantare, il team medico deve valutare anche l’idoneità del ricevente. Che include non solo il prerequisito dell’immunocompatibilità più alta possibile (per ridurre il rischio di rigetto), ma anche le condizioni di salute generali. Per esempio, non si trapianta il fegato a un malato che abbia un tumore metastatico, perché la sua aspettativa di vita è comunque brevissima.
La seconda ragione è insieme clinica e sociale. Purtroppo gli organi da trapiantare sono un risorsa limitatissima. Non sono hamburger al supermercato. Il problema della scelta – a chi trapiantare – diventa stringente, doloroso e urgente. Se ho la disponibilità di un fegato e due candidati – uno con la cirrosi da alcol (di fatto, un suicidio lento), l’altro/a con stili di vita sani e una cirrosi da epatite fulminante – chi trapianterò, a parità di istocompatibilità? Quello che ha la massima probabilità di vivere, dopo, o tirerò la monetina per decidere? Il problema della scelta è frequente, in medicina, e spesso sottovalutato. Se mi arrivano quattro ragazzi gravemente feriti un sabato notte, e l’ospedale ha due sala operatorie, chi opererò per primo?
La terza ragione è economica: un trapianto ha un costo altissimo, durante e dopo l’intervento. Con risorse sanitarie sempre più limitate, trapianto indipendentemente dalla prognosi, o devo tener conto che la prognosi governa le mie scelte, anche di economia sanitaria? In termini più semplici, trapianterebbe un organo a una persona che dichiara seriamente di volersi suicidare? (di fatto, un alcolismo tale da distruggere il fegato a 22 anni è un suicidio, seppure lento).
Al di là del caso specifico, la sua domanda è cruciale, perché di interesse generale e ci tocca tutti.
La seconda ragione è insieme clinica e sociale. Purtroppo gli organi da trapiantare sono un risorsa limitatissima. Non sono hamburger al supermercato. Il problema della scelta – a chi trapiantare – diventa stringente, doloroso e urgente. Se ho la disponibilità di un fegato e due candidati – uno con la cirrosi da alcol (di fatto, un suicidio lento), l’altro/a con stili di vita sani e una cirrosi da epatite fulminante – chi trapianterò, a parità di istocompatibilità? Quello che ha la massima probabilità di vivere, dopo, o tirerò la monetina per decidere? Il problema della scelta è frequente, in medicina, e spesso sottovalutato. Se mi arrivano quattro ragazzi gravemente feriti un sabato notte, e l’ospedale ha due sala operatorie, chi opererò per primo?
La terza ragione è economica: un trapianto ha un costo altissimo, durante e dopo l’intervento. Con risorse sanitarie sempre più limitate, trapianto indipendentemente dalla prognosi, o devo tener conto che la prognosi governa le mie scelte, anche di economia sanitaria? In termini più semplici, trapianterebbe un organo a una persona che dichiara seriamente di volersi suicidare? (di fatto, un alcolismo tale da distruggere il fegato a 22 anni è un suicidio, seppure lento).
Al di là del caso specifico, la sua domanda è cruciale, perché di interesse generale e ci tocca tutti.
La salute è un diritto o anche un bene da tutelare?
La cultura moderna occidentale ha enfatizzato il concetto di salute come diritto, smarrendo per via il fatto che è (anche) un bene da tutelare con grande attenzione, e quindi un dovere. Di fatto, ognuno di noi deve assumersi la responsabilità della propria salute: non possiamo aspettarci che siano sempre gli altri – lo stato, il ministro della salute, i medici, gli ospedali o i farmaci – a tutelare il nostro benessere fisico e psichico. In questo senso, anche nella salute, mi definisco una meritocratica trasversale. E penso che un criterio di merito sia certo migliore di quello per censo: di fatto, oggi sono curati molto meglio i ricchi dei poveri. Non è ancora più ingiusto, questo? Semmai, dovremmo impegnarci di più perché un ragazzo non finisca alcolizzato a 22 anni. Perché i più poveri abbiano accesso a un’educazione, anche sanitaria, migliore, e a migliori cure mediche (come ha fatto Obama, tassando dell’1% i più ricchi per migliorare l’assistenza medica ai più poveri). Ma non possiamo esimerci dall’essere i protagonisti della nostra salute, non crede?
Prevenire e curare – Come proteggere la nostra salute fisica e psichica... anche da noi stessi
- Preferire un’alimentazione sana, lievemente ipocalorica, con cibi freschi, cereali, frutta, verdura, olio d’oliva e proteine vegetali;
- dormire almeno sette ore per notte (meglio otto);
- fare movimento fisico quotidiano (almeno 30-40 minuti di passeggiata veloce al giorno);
- evitare fumo, alcol (al massimo, un bicchiere di vino o di birra a pasto), droghe;
- coltivare gli affetti, familiari e amicali;
- cercare di vivere il lavoro nei suoi aspetti positivi;
- stimolare la mente con hobby amati, letture, viaggi;
- guidare con attenzione e prudenza;
- volersi bene, davvero... in modo sano.
- dormire almeno sette ore per notte (meglio otto);
- fare movimento fisico quotidiano (almeno 30-40 minuti di passeggiata veloce al giorno);
- evitare fumo, alcol (al massimo, un bicchiere di vino o di birra a pasto), droghe;
- coltivare gli affetti, familiari e amicali;
- cercare di vivere il lavoro nei suoi aspetti positivi;
- stimolare la mente con hobby amati, letture, viaggi;
- guidare con attenzione e prudenza;
- volersi bene, davvero... in modo sano.