Nella donna giovane il tumore al seno, ben curabile dopo i 50 anni, presenta molte sfide in più. Innanzitutto è diagnosticato più tardi e quindi in stadio più avanzato, per due ragioni: perché i noduli al seno nella giovane vengono a torto considerati “benigni” e perché il seno denso, tipico della giovane, è più difficile da “leggere” in quanto la densità del tumore e dei tessuti circostanti è molto simile. Il primo messaggio è dunque quello di non sottovalutare mai i nodi al seno, nemmeno nella giovanissima. Bisogna valutarli bene dal punto di vista clinico, con visita accurata ed ecografia, e, se indicato, con approfondimento mammografico e bioptico.
Questi tumori presentano caratteristiche biologiche diverse rispetto alle neoplasie che compaiono nella post-menopausa: spesso sono più indifferenziati e aggressivi, anche perché sono negativi dal punto di vista dei recettori per gli ormoni. Per questo infiltrano più rapidamente i tessuti e i vasi, linfatici e sanguigni. Per combatterli, oltre all’intervento chirurgico, è necessaria la chemioterapia, che quasi sempre distrugge anche il patrimonio delle cellule riproduttive. Per questo è importante proporre il salvataggio degli ovociti (con “crioconservazione”) ad ogni giovane donna prima di iniziare la chemioterapia. Per due ragioni: biologica, perché così può proteggere la sua fertilità; e psicologica, perché il pensare al poter essere mamma, domani, le dà un fortissimo messaggio di fiducia e di speranza: «E’ durissima, ma ce la posso fare!».
In positivo, gli studi ci dicono che se la giovane donna non ha recidive nei primi due anni dopo la diagnosi, in caso di tumore al primo stadio senza metastasi linfonodali, e dopo cinque anni, se è al secondo stadio, la gravidanza non modifica la sua aspettativa di vita.
La sfida però resta difficile. Le cure sono molto impegnative dal punto di vista fisico ed emotivo: come ridurne l’impatto? E’ essenziale che la donna possa contare su una famiglia affettivamente presente, e, se ha un partner, su un uomo che sappia starle vicino senza fughe, reali o sessuali. Che possa contare su un gruppo oncologico preparato e sensibile per affrontare con lei un cammino in salita. Il tumore in sé, e poi chirurgia, radioterapia e chemioterapia, aumentano la produzione di molecole infiammatorie che letteralmente “incendiano”, dal punto di vista biochimico, tessuti, nervi periferici e sistema nervoso centrale. E’ l’infiammazione che causa il dolore generalizzato e più forte nella parte superiore del corpo, lamentato dal 68-80% di queste donne; le parestesie, i formicolii, la sensazione di “aghi e spilli”; e la depressione che è alimentata anche dalla neuroinfiammazione, oltre che dalle indubbie motivazioni psicologiche.
Per ridurre l’infiammazione è importante adottare stili di vita adeguati: camminare un’ora al giorno, a passo veloce, può ridurre fino al 30% le molecole infiammatorie; l’eliminazione di alcol e fumo aiuta; il mantenere il peso normale è indispensabile, in quanto il tessuto adiposo è uno spaventoso generatore di infiammazione. Yoga, meditazione e preghiera, per chi crede, sono un formidabile aiuto spirituale. Una fitoterapia ben scelta può aiutare a ridurre alcuni sintomi. La palmitoiletanolamide aiuta a ridurre l’infiammazione centrale e periferica e la secchezza vaginale. Il D-mannosio riduce eventuali cistiti associate. La vitamina D ottimizza le difese immunitarie e contrasta la tendenza a perdere osso e muscoli (“sarcopenia”) conseguenti alla menopausa precoce. La fisioterapia per il pavimento pelvico è preziosa.
Questi diversi aiuti posso aiutare le nostre giovani pazienti, come Francesca, a sorridere, nonostante lo choc e il dolore, con un magnifico coraggio e amore per la vita.
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