Ridurre il rischio non significa certezza di non sviluppare il tumore, ma che la probabilità che compaia è ridotta. Aumentano invece il rischio il sovrappeso e l’obesità, per due ragioni. Primo: la cellula adiposa produce estrone, un estrogeno cattivissimo perché interagisce con i recettori ormonali di tipo alfa, che promuovono la proliferazione delle cellule della mammella e dell’endometrio, lo strato interno dell’utero. Nelle donne obese il rischio di tumori al seno e all’utero può triplicare. Secondo: le cellule adipose malate (il grasso “bianco”, responsabile anche della cellulite) producono migliaia di molecole infiammatorie, che aumentano il rischio di tumori, ma anche di infarti e di demenza.
Più siamo infiammate, più siamo malate o a rischio di malattie serie. Eppure le donne hanno paura delle terapie ormonali sostitutive (TOS), che negli studi più negativi mostrano un aumento di rischio di tumore al seno dell’1 per mille, e non hanno paura del proprio grasso, molto più pericoloso! Aumentano il rischio di tumori al seno anche la sedentarietà, l’eccesso di zuccheri, lieviti e alcol, il fumo, il non aver avuto figli o averli avuti tardi, e il non averli allattati.
Prevenzione primaria significa dunque ridurre i fattori di rischio e promuovere e praticare i fattori protettivi, come l’attività fisica, un’alimentazione sobria e bilanciata, la riduzione dello stress. Nelle donne portatrici di alterazioni genetiche (BRCA1, Breast Cancer 1, e BRCA2, Breast Cancer 2), che aumentano del 60-80% il rischio di tumori al seno e del 60% il rischio di tumori all’ovaio, la prevenzione primaria comporta scelte radicali, emotivamente molto difficili: togliere entrambe le mammelle (mastectomia bilaterale profilattica), tube e ovaie (annessiectomia bilaterale profilattica), con conseguente menopausa precoce “iatrogena”, ossia dovuta a cure mediche. Scelte impegnative e dolorose, quanto più la donna è giovane. Ma è meglio togliere organi ad altissimo rischio, e restare vive, che non tenerli con un rischio elevato di tumori aggressivi e potenzialmente fatali, come bene ha fatto Angelina Jolie, che aveva questi geni malati.
La prevenzione secondaria è la diagnosi precoce: il tumore è già comparso, ma è diagnosticato quando è ancora piccolo e ben curabile. Attenzione: un tumore alla mammella di 1 centimetro cubo ha già un miliardo di cellule, ed è iniziato dieci, anche quindici anni prima! Questo perché il tempo di moltiplicazione di una cellula tumorale mammaria varia tra 120 e 150 giorni (4-5 mesi). Questo tumore ha una lunga fase “carsica”, nascosta, in cui è già presente ma non è ancora visibile. Diventa visibile alla mammografia quando ha raggiunto i 4-5 millimetri di diametro o più. Quindi, quando la mammografia è negativa, ossia non evidenzia tumori, non dovremmo dire; «Tranquilla signora, non c’è nulla», bensì: «Non c’è nulla di visibile con questa tecnica». Ecco perché è raccomandabile fare la mammografia ogni anno. Se la facciamo ogni due, quei tumori ancora piccoli diventano visibilissimi e già “grandi” due anni dopo (cosiddetti “cancri di intervallo”), perché la crescita delle cellule tumorali è esponenziale.
Migliorare la diagnosi precoce, e quindi la prevenzione secondaria, è possibile incoraggiando le donne a fare annualmente il controllo senologico, utilizzando metodiche con maggiore potere di risoluzione (che vedono cioè tumori più piccoli) e/o combinando metodiche con cause di errore diverse (per esempio mammografia ed ecografia), così da migliorare la affidabilità diagnostica. La prevenzione terziaria è invece la diagnosi tempestiva delle metastasi. Prevenzione sì, dunque, ma con chiarezza di obiettivi e massimo impegno nella prevenzione primaria, che dipende da noi.
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