Hildebrand JR, Sastry S.
“Stop smoking!” Do we say it enough?
J Oncol Pract. 2013 Sep; 9 (5): 230-2. doi: 10.1200/JOP.2013.000890. Epub 2013 Jul 29
Verificare la qualità dell’informazione medico-paziente sui rischi del fumo per il polmone: è questo l’obiettivo dello studio di J.R. Hildebrand e S. Sastry, dell’Università del North Carolina a Chapel Hill, Stati Uniti.
La ricerca è stata condotta con specifico riferimento al carcinoma broncogeno, che rappresenta oltre il 90% dei tumori al polmone. E’ il secondo cancro per frequenza negli uomini (13%) e il terzo nelle donne (13%); rappresenta la principale causa di morte per cancro per gli uomini (32%) e per le donne (25%) e la sua incidenza appare in crescita più rapida tra le donne. Il fumo di sigaretta è la causa di più del 90% dei casi nell’uomo e di circa l’80% nella donna.
I pazienti che continuano a fumare dopo la diagnosi di carcinoma broncogeno presentano più elevati tassi di morbilità e mortalità. Le evidenze a nostra disposizione, d’altra parte, indicano come i fumatori che si ammalano di cancro abbiano una maggiore probabilità di smettere di fumare se consigliati in questo senso dai loro medici. Lo scopo dello studio è dunque quello di accertare se, con questi pazienti, i medici affrontino adeguatamente il problema del fumo.
Questi i risultati:
- l’analisi è stata condotta su 948 persone colpite da carcinoma broncogeno fra il 2008 e il 2010;
- di queste, 438 erano fumatori/fumatrici al momento della diagnosi;
- in media, ogni paziente è stato seguito da tre diversi medici fra ospedale e ambulatori privati;
- solo il 36% dei fumatori/fumatrici ha ricevuto un’adeguata consulenza sull’opportunità di smettere;
- i pazienti al primo stadio hanno una maggiore probabilità di essere correttamente consigliati rispetto a quelli al quarto stadio.
Da questi dati si desume che l’informazione medico-paziente sul ruolo del fumo nel decorso del carcinoma broncogeno al polmone è ancora carente, e questo nonostante le solide evidenze sulle correlazioni tra fumo e cancro. Inoltre, la gravità della patologia sembra scoraggiare il medico rispetto alla necessità di trasmettere messaggi chiari e convincenti. Ne deriva la necessità di sviluppare più capillari programmi di formazione per i medici e di informazione per i/le pazienti di tutte le età.