Liss JL, Seleri Assunção S, Cummings J, Atri A, Geldmacher DS, Candela SF, Devanand DP, Fillit HM, Susman J, Mintzer J, Bittner T, Brunton SA, Kerwin DR, Jackson WC, Small GW, Grossberg GT, Clevenger CK, Cotter V, Stefanacci R, Wise-Brown A, Sabbagh MN.
Practical recommendations for timely, accurate diagnosis of symptomatic Alzheimer's disease (MCI and dementia) in primary care: a review and synthesis
J Intern Med. 2021 Aug;290(2):310-334. doi: 10.1111/joim.13244. Epub 2021 Mar 31
Fornire un quadro concettuale e metodologico aggiornato per rafforzare il ruolo dei medici di base nel processo di diagnosi precoce del morbo di Alzheimer: è questo l’obiettivo dell’eccellente sintesi clinica realizzata da Jonathan L. Liss, del Columbus Memory Center (Georgia, USA), e altri venti specialisti statunitensi. Fra i centri che hanno preso parte al lavoro spiccano il Dipartimento di Neurologia presso il Brigham and Women's Hospital di Boston, la Harvard Medical School di Boston, la Alzheimer’s Drug Discovery Foundation di New York, la Divisione di Psichiatria geriatrica presso la University of California a Los Angeles (UCLA), la Johns Hopkins School of Nursing a Baltimore e la Thomas Jefferson University di Philadelphia.
Lo studio parte dal presupposto che il ruolo dei medici di base nella prevenzione, diagnosi e gestione del morbo di Alzheimer (AD) deve evolversi a mano a mano che emergono nuovi paradigmi fisiopatologici e di cura.
La nostra comprensione della patologia è cresciuta, negli ultimi anni, in modo sostanziale. In particolare, oggi non concettualizziamo più l’AD come una sindrome cognitiva e funzionale tipica dell’età avanzata, ma sappiamo che:
- si sviluppa silenziosamente per decenni prima che il deterioramento cognitivo sia rilevabile;
- prima di evolvere nella vera e propria demenza, si manifesta clinicamente con un lieve deterioramento cognitivo (mild cognitive impairment, MCI).
Di conseguenza, è decisivo che il sospetto diagnostico sia il più possibile precoce, sin dal manifestarsi dei primissimi segni di deficit cognitivo, non tanto in vista di una guarigione che, allo stato delle conoscenze, non è ancora alla nostra portata, ma per ottimizzare le terapie volte a:
- rallentare la progressione della patologia;
- migliorare la qualità di vita del/della paziente e dei suoi familiari.
A questo proposito, nel box 2 (Benefits of timely recognition and diagnosis of cognitive impairment) si chiarisce come l’AD sia tutt’altro che una condizione medica ed esistenziale a fronte della quale non restano che la disperazione e la resa.
Gli Autori, in particolare, sottolineano la disponibilità di marker oggettivi per la diagnosi precoce dell’AD, e strutturano il loro lavoro in modo estremamente chiaro e solido. Questi gli snodi principali:
- fasi dell’AD nel corso della vita;
- il periodo asintomatico;
- i segni del deterioramento cognitivo lieve;
- i segni della demenza conclamata;
- i biomarker consolidati nella pratica clinica;
- i biomarker emergenti alla luce delle più recenti scoperte;
- i benefici di una diagnosi precoce e precisa;
- azioni e “buone prassi” preventive nell’arco della vita;
- ruolo degli stili di vita nella prevenzione e nel rallentamento del declino cognitivo;
- tool diagnostici standardizzati;
- somiglianze e differenze fra i criteri diagnostici della US National Institute on Aging – Alzheimer’s Association Classification (NIA‐AA) e quelli della International Working Group Classification (IWG).