Moisidis-Tesch CM, Shulman LP.
Iron deficiency in women's health: new insights into diagnosis and treatment
Adv Ther. 2022 Jun;39(6):2438-2451. doi: 10.1007/s12325-022-02157-7. Epub 2022 Apr 30
Analizzare i sintomi della carenza di ferro e illustrare nuove metodiche per la sua supplementazione: è questo l’obiettivo dello studio di Christina M. Moisidis-Tesch e Lee P. Shulman, rispettivamente del Medicum Facharztzentrum and St. Josefs Hospital di Wiesbaden, Germania, e della Feinberg School of Medicine presso la Northwestern University di Chicago, Stati Uniti.
La carenza di ferro, con o senza anemia, è un disturbo molto comune a livello mondiale. Fra i principali sintomi spiccano l’astenia e l’affaticabilità, il picacismo (soprattutto nella forma specifica della voglia di ghiaccio), la sindrome delle gambe senza riposo, una maggiore vulnerabilità alle infezioni e lo stress cardiovascolare.
Ricordiamo che il picacismo (detto anche pica o allotriofagia) è un disturbo del comportamento alimentare caratterizzato dall'ingestione di sostanze non nutritive, come terra, sabbia, carta, cotone e, appunto, ghiaccio. Il termine deriva da “pica”, termine latino che significa gazza, un uccello che ha l’abitudine di beccare anche oggetti non alimentari. Alla base della patologia vi è solitamente un’anemia da carenza di ferro.
L’eziologia della carenza di ferro tende a variare nelle diverse comunità:
- nei Paesi in via di sviluppo, correla tipicamente con un insufficiente introito alimentare e con infezioni da parassiti;
- nei Paesi a più elevato reddito, è spesso la conseguenza di sanguinamenti uterini anomali e della gravidanza.
A queste cause generali si possono aggiungere:
- un malassorbimento del ferro provocato da disturbi intestinali (gluten sensitivity, celiachia, sindrome dell’intestino irritabile e altre condizioni infiammatorie);
- perdite di sangue ricorrenti, ad esempio per gengiviti ed emorroidi.
La carenza di ferro è generalmente caratterizzata da un basso livello di ferritina. Tuttavia, la diagnosi può essere più difficile nelle donne con disturbi infiammatori concomitanti: in questi casi è più significativa una bassa saturazione percentuale di transferrina, verificata dopo il digiuno notturno.
La terapia consiste normalmente nella somministrazione di ferro per via orale: questa modalità di cura, tuttavia, si associa spesso a eventi avversi di natura gastrointestinale, il che può avere un impatto negativo sulla compliance e quindi sul raggiungimento degli obiettivi terapeutici. Un ulteriore ostacolo all’efficacia del ferro per via orale può essere uno scarso assorbimento a causa di comorbilità intestinali, chirurgia bariatrica o meccanismi inibitori fisiologici.
In questo contesto, si ricorre sempre più spesso alla somministrazione per via endovenosa, che azzera il rischio di eventi avversi gastrointestinali e di malassorbimento da patologie digestive.
Anche nel campo delle vie di somministrazione per via endovenosa si sono fatti progressi: le più recenti metodiche garantiscono una supplementazione del ferro sicura ed efficace, e con minori effetti avversi rispetto a quelle utilizzate in passato. In particolare, queste nuove metodiche possono fornire una dose sostitutiva completa in una singola seduta di 15-60 minuti.