- Indice:
- Che cos'è l'avversione sessuale?
- Fattori neurovegetativi e cognitivi: un'interrelazione complessa
- La componente d'ansia: caratteristiche generali
- Quali fattori scatenano l'ansia e la fobia?
- Le possibili complicanze dell'ansia
- Le motivazioni psicosessuali e relazionali dell'evitamento volontario
- Le condizioni di salute della donna possono influenzare la sua motivazione sessuale?
- Quali altri fattori possono influire sulla genesi dell'avversione o dell'evitamento sessuale?
- L'evitamento può essere indotto anche da problemi del partner?
- Valutazione clinica
- La terapia
- E in caso di menopausa iatrogena?
- Il contributo della chirurgia
- Conclusioni
- Approfondimenti specialistici
Che cos'è l'avversione sessuale?
Si tratta di un disturbo curabile, purché se ne affrontino in parallelo le basi fisiche e psicologiche (Banner, Whipple e Graziottin 2006). Normalmente, l’intimità sessuale tra due persone che cominciano ad amarsi cresce in parallelo alla motivazione a stare insieme (Levine 1992). Questa motivazione è fatta sia di attrazione fisica, sia di sentimenti ed emozioni. Quando l’intimità scatena invece, per vari motivi, una forte ansia, la donna può sperimentare un rifiuto più o meno netto dell’intimità stessa, e persino un disgusto che – in casi estremi – può sfociare nella vera e propria “avversione sessuale” (Kaplan 1988).
Per esempio, se la donna ha subìto un abuso fisico nella sua infanzia, da adulta potrà rifuggire dall’intimità per evitare di rivivere quella drammatica esperienza. In questi casi, l’avversione non è solo “psicologica”, ma può avere una prevalente componente fobica, con i sintomi tipici dell’ansia somatizzata e persino dell’attacco di panico. In altri casi, invece, l’avversione matura sul piano “cognitivo”, è più razionale, e si manifesta perché la donna – per svariati motivi – evita volontariamente l’intimità sessuale con il partner.
Questa molteplicità di fattori predisponenti, precipitanti e di mantenimento – di cui l’equipe medica dovrebbe sempre tenere conto – affonda le radici nell’estrema complessità dei meccanismi biologici, psicologici e relazionali del desiderio e dell’eccitazione femminili (Basson et Al. 2004).
Per esempio, se la donna ha subìto un abuso fisico nella sua infanzia, da adulta potrà rifuggire dall’intimità per evitare di rivivere quella drammatica esperienza. In questi casi, l’avversione non è solo “psicologica”, ma può avere una prevalente componente fobica, con i sintomi tipici dell’ansia somatizzata e persino dell’attacco di panico. In altri casi, invece, l’avversione matura sul piano “cognitivo”, è più razionale, e si manifesta perché la donna – per svariati motivi – evita volontariamente l’intimità sessuale con il partner.
Questa molteplicità di fattori predisponenti, precipitanti e di mantenimento – di cui l’equipe medica dovrebbe sempre tenere conto – affonda le radici nell’estrema complessità dei meccanismi biologici, psicologici e relazionali del desiderio e dell’eccitazione femminili (Basson et Al. 2004).
Fattori neurovegetativi e cognitivi: un'interrelazione complessa
Entrambe le componenti – quella neurovegetativa, involontaria, e quella cognitiva, volontaria – possono essere presenti nella singola donna. Tuttavia, si tende a parlare di vera e propria “avversione” quando siamo in presenza di una prevalente base fobica, mentre si preferisce il termine “evitamento” quando la donna decide di non esporsi all’intimità (Banner, Whipple e Graziottin 2006). Spesso, però, i due termini sono considerati intercambiabili. In molti casi, d’altra parte, la donna “sceglie” l’evitamento solo a livello inconscio, e quindi non consapevole, anche se non matura necessariamente un atteggiamento fobico; in altri casi, l’ansia è il frutto di una predisposizione genetica e non di un evento traumatico (Kaplan 1988). La realtà, insomma, è sempre più complessa delle definizioni scientifiche, soprattutto quando le variabili psicorelazionali si intrecciano saldamente con quelle biologiche. I due termini non vanno quindi intesi in modo rigido, ma solo come indicatori della possibile prevalenza di una dimensione eziologica sull’altra.
La componente d'ansia: caratteristiche generali
Abbiamo visto che, in molti casi, l’avversione sessuale non è solo psicologica, ma può avere una prevalente componente fisica, con i sintomi tipici di un’ansia somatizzata: è il sistema neurovegetativo involontario che, alla sola prospettiva di un contatto sessuale, va in crisi e provoca nausea, sudorazione fredda, vasocostrizione, tachicardia, brusche variazioni di pressione, a volte persino fame d’aria e vomito (Banner, Whipple e Graziottin 2006). Questo terremoto è provocato da un aumento brusco degli ormoni dell’allarme, l’adrenalina (che causa la sudorazione fredda, l’aumento del battito cardiaco, la nausea) e il cortisolo (Shapiro e Forrest 1997; Sapolsky 1998). In parallelo gli ormoni sessuali, come gli estrogeni e gli androgeni surrenali, si riducono a causa dello stress, e questo spiega da un ulteriore punto di vista l’effetto deprimente che l’attacco fobico esercita sulla motivazione sessuale (Sapolsky 1998). Questi disturbi, a volte, possono essere così intensi da confondersi con quelli di un vero e proprio attacco di panico.
Quali fattori scatenano l'ansia e la fobia?
A parte il caso di una predisposizione genetica, la motivazione fobica dell’avversione è normalmente un abuso fisico (molestie sessuali, stupro, incesto) o psicologico (molestie verbali, maltrattamenti, o l’aver assistito a una scena traumatica), soprattutto se subìto durante l’infanzia (Kaplan 1988; Maltz e Holman 1987; Marshall et Al. 2000). L’avversione fisica che la donna prova alla sola idea che un uomo possa toccarla esprime allora la profondità e la drammaticità del condizionamento negativo che il trauma ha scritto nella sua mente. Le reazioni di panico e sofferenza che abbiamo descritte sono infatti coordinate dalla parte più automatica e antica del sistema nervoso centrale, che a sua volta registra e ricorda tutte le esperienze che possano avere inciso negativamente sul nostro rapporto con gli altri e con l’ambiente. Un trauma di questo tipo non è una sensazione passeggera, fatta solo di emozioni negative, ma si incide indelebilmente nella biochimica del cervello, e condiziona parte dei nostri processi psichici e perfino le nostre reazioni automatiche. In questo senso, l’avversione sessuale può essere definita come una vera e propria forma di “claustrofobia emotiva” (Kaplan 1988).
Le possibili complicanze dell'ansia
Nei casi più gravi di ansia e fobia si parla addirittura di “sindrome post traumatica da stress” (Post Traumatic Stress Disorder, PTSD): un disturbo che osserviamo, per esempio, nelle vittime di bombardamenti o attacchi terroristici. Si tratta di uno stato di allarme permanente caratterizzato da ipervigilanza, ansia anticipatoria estrema, angoscia, attacchi di panico a ogni situazione che rievochi anche solo lontanamente l’esperienza negativa, e persino flashback, ossia la tendenza a rivivere in modo improvviso, incontrollabile e drammaticamente realistico l’evento traumatico (Shapiro e Forrest 1997).
La complessità e la gravità dei sintomi neurovegetativi ci aiuta a capire quanto i farmaci possano essere preziosi per uscire dal tunnel. In questi casi, però è quasi sempre indispensabile avviare anche una qualificata psicoterapia, per lavorare in parallelo sulle basi emotive del sintomo.
La complessità e la gravità dei sintomi neurovegetativi ci aiuta a capire quanto i farmaci possano essere preziosi per uscire dal tunnel. In questi casi, però è quasi sempre indispensabile avviare anche una qualificata psicoterapia, per lavorare in parallelo sulle basi emotive del sintomo.
Le motivazioni psicosessuali e relazionali dell'evitamento volontario
Come abbiamo visto, altre volte invece l’avversione matura sul piano cognitivo e razionale, e si preferisce parlare allora di “evitamento”: questo accade, per esempio, quando la donna respinge volontariamente l’intimità sessuale con il partner perché trova frustrante far l’amore con lui, o perché si sente sessualmente incapace. Nei tempi pionieristici della sessuologia, le donne che presentano questi sintomi erano definite “frigide” o “sessualmente insensibili” (Kaplan 1987). In altri casi l’evitamento si verifica perché lui l’ha delusa sul fronte affettivo oppure perché non ha cura di sé e dell’igiene personale (un caso più frequente di quanto si possa pensare, specialmente nelle coppie di mezza età).
Altre volte ancora, l’avversione sessuale può nascere perché la donna si sente fisicamente inadeguata per il deterioramento, reale o percepito, dell’immagine corporea (Butler, Lewis e Sunderland 1991; Delamater e Sill 2005), dovuto soprattutto all’invecchiamento, ai trattamenti medici o all’esito estetico in interventi. In questi casi la donna si percepisce come fisicamente poco attraente, ed evita quindi ogni forma di intimità sessuale. Uno studio recentemente condotto in Portogallo su 207 donne ha per esempio dimostrato che l’immagine corporea percepita e i pensieri involontari su di essa sono significativamente associati ai disturbi dell’orgasmo (Nobre e Pinto-Gouveia 2008).
L’evitamento dell’intimità viene spesso osservato in parallelo ad altre disfunzioni sessuali, in particolare con il disturbo del desiderio sessuale ipoattivo (Hypoactive Sexual Desire Disorder, HSDD). La fisiopatologia di questa comorbilità è radicata sia nella neurobiologia delle emozioni fondamentali che contribuiscono ad alimentare e a modulare il desiderio sessuale, sia nei fattori psicosessuali che possono agire come fattori predisponenti o precipitanti per entrambe le patologie (Panksepp 1998).
In altri casi, l’avversione della donna può essere innescata da disfunzioni sessuali del partner, che a sua volta contribuisce poi ad alimentare e mantenere. Può allora capitare che venga diagnosticata solo quando il partner, o la coppia, va in consultazione per il disturbo maschile.
La complessità dei fattori in gioco ci aiuta a capire come una buona diagnosi differenziale sia essenziale per definire il mix terapeutico più efficace.
Altre volte ancora, l’avversione sessuale può nascere perché la donna si sente fisicamente inadeguata per il deterioramento, reale o percepito, dell’immagine corporea (Butler, Lewis e Sunderland 1991; Delamater e Sill 2005), dovuto soprattutto all’invecchiamento, ai trattamenti medici o all’esito estetico in interventi. In questi casi la donna si percepisce come fisicamente poco attraente, ed evita quindi ogni forma di intimità sessuale. Uno studio recentemente condotto in Portogallo su 207 donne ha per esempio dimostrato che l’immagine corporea percepita e i pensieri involontari su di essa sono significativamente associati ai disturbi dell’orgasmo (Nobre e Pinto-Gouveia 2008).
L’evitamento dell’intimità viene spesso osservato in parallelo ad altre disfunzioni sessuali, in particolare con il disturbo del desiderio sessuale ipoattivo (Hypoactive Sexual Desire Disorder, HSDD). La fisiopatologia di questa comorbilità è radicata sia nella neurobiologia delle emozioni fondamentali che contribuiscono ad alimentare e a modulare il desiderio sessuale, sia nei fattori psicosessuali che possono agire come fattori predisponenti o precipitanti per entrambe le patologie (Panksepp 1998).
In altri casi, l’avversione della donna può essere innescata da disfunzioni sessuali del partner, che a sua volta contribuisce poi ad alimentare e mantenere. Può allora capitare che venga diagnosticata solo quando il partner, o la coppia, va in consultazione per il disturbo maschile.
La complessità dei fattori in gioco ci aiuta a capire come una buona diagnosi differenziale sia essenziale per definire il mix terapeutico più efficace.
Le condizioni di salute della donna possono influenzare la sua motivazione sessuale?
Certamente. Le condizioni di salute possono svolgere un ruolo importante nell’evitamento sessuale, a causa dei cambiamenti biochimici, neurologici, fisiologici, psicologici ed emotivi dovuti alla malattia e/o al trattamento (Banner, Whipple e Graziottin 2006). Il diabete mellito e il tumore della mammella o ginecologico, per esempio, possono contribuire all’evitamento sessuale, con diversi meccanismi fisiopatologici (Muniyappa et Al. 2005; Bukovic et Al. 2005; Kadioglu et Al. 2005). L’uso di antidepressivi può indurre un appannamento della funzione orgasmica e, di conseguenza, un progressivo rifiuto dell’intimità.
Il diabete mellito può causare una diminuzione delle sensazioni e della lubrificazione genitale, e portare così all’insorgenza di disturbi sessuali di crescente gravità, sino all’evitamento sessuale (Muniyappa et Al. 2005).
Anche le donne in cura per un tumore al seno o ginecologico spesso segnalano un peggioramento della funzione sessuale, che può sfociare nell’evitamento volontario dell’intimità (Bukovic et Al. 2005). A seconda della terapia, ciò può essere determinato:
- dal deterioramento dell’immagine corporea dovuto alla mastectomia, al linfedema, all’asportazione dell’utero (isterectomia) e delle ovaie (ovariectomia bilaterale);
- dalla compromissione delle basi biologiche della risposta sessuale derivante dalla menopausa iatrogena secondaria all’ovariectomia bilaterale, alla chemioterapia, alla radioterapia “total body” e ad altre opzioni terapeutiche (Graziottin 2005), o anche dal fatto che l’asportazione dell’utero può impoverire l’intensità e la qualità delle contrazioni orgasmiche (dopo l’isterectomia alcune donne riferiscono che l’orgasmo “non è più come prima” e che ha perso “la sua nota profonda”).
Va inoltre tenuto presente che, con l’ovariectomia bilaterale, la donna perde non solo il 100% degli estrogeni, ma anche il 50% circa del testosterone, e questo contribuisce in modo determinante a provarla della spinta biologica più forte del desiderio: vengono infatti frenate sia la via “dopaminergica”, ossia la parte del cervello che attiva il desiderio sessuale, l’energia vitale, l’assertività, la voglia di fare, di sedurre, di rispondere ad un’avance sessuale gradita, sia la via “serotoninergica” che regola il tono dell’umore. Nella mia esperienza clinica, nell’8% dei casi questo appannamento generale del desiderio e dell’umore cambia addirittura di segno e genera una vera e propria avversione sessuale: un’avversione strettamente dipendente proprio dalla carenza ormonale, sempre che nella coppia non ci siano conflitti, delusioni, tradimenti o altri fattori negativi di tipo affettivo.
Anche l’uso di psicofarmaci, e in particolare degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (Serotonin Specific Reuptake Inhibitors, SSRI), può comportare problemi a lungo termine. Le ricerche parlano di un 30-60% di effetti collaterali, in particolare disturbi del desiderio, dell’eccitazione e dell’orgasmo, sino al caso limite del blocco totale, quando la dose del farmaco è elevata (Frohlich e Meston 2005). Questo è dovuto al meccanismo biochimico utilizzato dal farmaco. E’ però anche vero che, sovente, è la depressione stessa a compromettere la risposta sessuale e, in particolare, il desiderio. La cura, migliorando altri sintomi più evidenti dello stato depressivo, legati alla qualità della vita in generale, può quindi portare la paziente a notare con maggiore consapevolezza il problema legato alla sessualità.
Il diabete mellito può causare una diminuzione delle sensazioni e della lubrificazione genitale, e portare così all’insorgenza di disturbi sessuali di crescente gravità, sino all’evitamento sessuale (Muniyappa et Al. 2005).
Anche le donne in cura per un tumore al seno o ginecologico spesso segnalano un peggioramento della funzione sessuale, che può sfociare nell’evitamento volontario dell’intimità (Bukovic et Al. 2005). A seconda della terapia, ciò può essere determinato:
- dal deterioramento dell’immagine corporea dovuto alla mastectomia, al linfedema, all’asportazione dell’utero (isterectomia) e delle ovaie (ovariectomia bilaterale);
- dalla compromissione delle basi biologiche della risposta sessuale derivante dalla menopausa iatrogena secondaria all’ovariectomia bilaterale, alla chemioterapia, alla radioterapia “total body” e ad altre opzioni terapeutiche (Graziottin 2005), o anche dal fatto che l’asportazione dell’utero può impoverire l’intensità e la qualità delle contrazioni orgasmiche (dopo l’isterectomia alcune donne riferiscono che l’orgasmo “non è più come prima” e che ha perso “la sua nota profonda”).
Va inoltre tenuto presente che, con l’ovariectomia bilaterale, la donna perde non solo il 100% degli estrogeni, ma anche il 50% circa del testosterone, e questo contribuisce in modo determinante a provarla della spinta biologica più forte del desiderio: vengono infatti frenate sia la via “dopaminergica”, ossia la parte del cervello che attiva il desiderio sessuale, l’energia vitale, l’assertività, la voglia di fare, di sedurre, di rispondere ad un’avance sessuale gradita, sia la via “serotoninergica” che regola il tono dell’umore. Nella mia esperienza clinica, nell’8% dei casi questo appannamento generale del desiderio e dell’umore cambia addirittura di segno e genera una vera e propria avversione sessuale: un’avversione strettamente dipendente proprio dalla carenza ormonale, sempre che nella coppia non ci siano conflitti, delusioni, tradimenti o altri fattori negativi di tipo affettivo.
Anche l’uso di psicofarmaci, e in particolare degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (Serotonin Specific Reuptake Inhibitors, SSRI), può comportare problemi a lungo termine. Le ricerche parlano di un 30-60% di effetti collaterali, in particolare disturbi del desiderio, dell’eccitazione e dell’orgasmo, sino al caso limite del blocco totale, quando la dose del farmaco è elevata (Frohlich e Meston 2005). Questo è dovuto al meccanismo biochimico utilizzato dal farmaco. E’ però anche vero che, sovente, è la depressione stessa a compromettere la risposta sessuale e, in particolare, il desiderio. La cura, migliorando altri sintomi più evidenti dello stato depressivo, legati alla qualità della vita in generale, può quindi portare la paziente a notare con maggiore consapevolezza il problema legato alla sessualità.
Quali altri fattori possono influire sulla genesi dell'avversione o dell'evitamento sessuale?
Sono infine da ricordare:
- le mutilazioni non terapeutiche di matrice culturale, come la circoncisione (asportazione del prepuzio del clitoride), l’escissione (asportazione del clitoride e taglio totale o parziale delle piccole labbra) e l’infibulazione (asportazione del clitoride, delle piccole labbra, di parte delle grandi labbra con cauterizzazione, e cucitura parziale della vulva per preservare la verginità fino al matrimonio) (Campbell 2004; Daley 2005). Queste forme di mutilazione sono praticate entro il primo anno di vita, o negli anni peripuberali come “rito di passaggio” (Tannahill 1992);
- le aspettative religiose o culturali sulla sessualità femminile e la sua funzione nella società: enfatizzandone la dimensione procreativa rispetto a quella ricreativa, possono inibire potentemente il desiderio e il perseguimento del piacere (Tannahill 1992). E’ infatti del tutto comprensibile che, se una donna prova forti sensi di colpa riguardo al piacere, finisca per sperimentare anche elevati livelli di ansia che sfociano poi nell’evitamento sessuale.
- le mutilazioni non terapeutiche di matrice culturale, come la circoncisione (asportazione del prepuzio del clitoride), l’escissione (asportazione del clitoride e taglio totale o parziale delle piccole labbra) e l’infibulazione (asportazione del clitoride, delle piccole labbra, di parte delle grandi labbra con cauterizzazione, e cucitura parziale della vulva per preservare la verginità fino al matrimonio) (Campbell 2004; Daley 2005). Queste forme di mutilazione sono praticate entro il primo anno di vita, o negli anni peripuberali come “rito di passaggio” (Tannahill 1992);
- le aspettative religiose o culturali sulla sessualità femminile e la sua funzione nella società: enfatizzandone la dimensione procreativa rispetto a quella ricreativa, possono inibire potentemente il desiderio e il perseguimento del piacere (Tannahill 1992). E’ infatti del tutto comprensibile che, se una donna prova forti sensi di colpa riguardo al piacere, finisca per sperimentare anche elevati livelli di ansia che sfociano poi nell’evitamento sessuale.
L'evitamento può essere indotto anche da problemi del partner?
Sì: abbiamo già accennato al fatto che l’avversione della donna può essere innescata da disfunzioni sessuali del partner (disfunzione erettile, ejaculazione precoce), soprattutto nelle coppie anziane (Banner, Whipple e Graziottin 2006).
Fra le altre condizioni potenzialmente rilevanti spiccano (Butler, Lewis e Sunderland 1991):
- l’età;
- l’immagine corporea, reale e percepita;
- le condizioni di salute;
- l’equilibrio psicologico;
- i valori sociali, culturali o religiosi;
- la cura di sé e l’igiene personale.
Nelle coppie più anziane, in particolare, altri fattori decisivi sono (Delamater e Sill 2005; Bitzer et Al. 2008):
- l’età;
- l’importanza attribuita all’intimità fisica, spesso maggiore nell’uomo che nella donna;
- il grado di cultura e di educazione;
- l’eventuale presenza di disturbi sessuali.
Va anche ricordato che l’evitamento dell’intimità fisica può influenzare l’armonia della relazione non solo sotto l’ovvio profilo della qualità dei rapporti sessuali, ma anche perché – a lungo andare – può innescare una “lotta di potere” in cui il sesso richiesto e negato diventa un’arma efficace e pericolosa per contrattare altri privilegi o “saldare” conti in sospeso (Levine 1992).
Fra le altre condizioni potenzialmente rilevanti spiccano (Butler, Lewis e Sunderland 1991):
- l’età;
- l’immagine corporea, reale e percepita;
- le condizioni di salute;
- l’equilibrio psicologico;
- i valori sociali, culturali o religiosi;
- la cura di sé e l’igiene personale.
Nelle coppie più anziane, in particolare, altri fattori decisivi sono (Delamater e Sill 2005; Bitzer et Al. 2008):
- l’età;
- l’importanza attribuita all’intimità fisica, spesso maggiore nell’uomo che nella donna;
- il grado di cultura e di educazione;
- l’eventuale presenza di disturbi sessuali.
Va anche ricordato che l’evitamento dell’intimità fisica può influenzare l’armonia della relazione non solo sotto l’ovvio profilo della qualità dei rapporti sessuali, ma anche perché – a lungo andare – può innescare una “lotta di potere” in cui il sesso richiesto e negato diventa un’arma efficace e pericolosa per contrattare altri privilegi o “saldare” conti in sospeso (Levine 1992).
Valutazione clinica
La valutazione clinica deve mirare a evidenziare e pesare tutte le variabili personali e di coppia sinora evidenziate: componente fobica, condizioni di salute, invecchiamento, immagine corporea, motivazioni psicosessuali e relazionali, mutilazioni genitali, aspettative religiose e culturali, problemi del partner, dinamiche conflittuali. L’esame fisico è certamente indicato quando all’evitamento sessuale contribuiscano problemi legati all’immagine corporea e/o risultati chirurgici negativamente percepiti.
E’ importante che il medico sia il più possibile empatico e sappia incoraggiare la donna a superare il senso di vergogna legato alla tipologia del disturbo, agli eventi ad esso collegati (traumi, mutilazioni, credenze, altre disfunzioni sessuali), e aprirsi alla speranza della guarigione (Banner, Whipple e Graziottin 2006).
Le pazienti sopravvissute a un trauma possono impiegare un lungo tempo per riconquistare un sufficiente livello di fiducia e sicurezza in modo da riuscire a raccontare ricordi personali spesso imbarazzanti. Il medico dovrebbe verificare con molto tatto l’esistenza di traumi infantili, anche con domande indirette di questo tipo: “Quando è stata la prima volta che si è sentita consapevole delle diverse parti del suo corpo?”; “Quando era bambina, è mai capitato che un adulto desse dei nomignoli giocosi ai suoi genitali?”; “Hai mai giocato ‘al dottore’ con un membro adulto della famiglia, o un conoscente?”; “Che sensazioni ricorda di avere ricavato da questa esperienza?”. In caso di evidenti resistenze inconsce da parte della paziente, può essere efficace parlare dell’evento traumatico come se si fosse effettivamente verificato: questa strategia comunicativa incoraggia la donna a integrare ed eventualmente correggere l’ipotesi del medico, accogliendo il “permesso” di affrontare un argomento così delicato.
Se la donna è di cultura africana, vi è un’elevata probabilità che possa avere subìto una mutilazione genitale, o avervi assistito da bambina, il che potrebbe essere stato altrettanto traumatico. Anche in questo caso, è opportuno che il medico affronti, naturalmente sempre con il dovuto tatto, il discorso come se ciò fosse effettivamente accaduto e aiuti la donna a confermare o eventualmente smentire tale ipotesi, piuttosto che attendere che sia lei a fornire spontaneamente un’informazione così delicata e imbarazzante.
Se in consultazione si presenta la coppia, il medico dovrebbe procedere con sedute sia congiunte che separate. Spesso, infatti, il colloquio individuale può rivelare prospettive ed esperienze che non vengono a galla nella sessione congiunta. In particolare, se la donna per diverse ragioni non si sente più attratta dal partner ed evita volontariamente l’intimità, è bene che possa esprimere tutte le sue motivazioni privatamente.
In caso di forti conflitti di coppia, infine, il medico deve essere consapevole del potenziale “guadagno” secondario derivante dal mantenimento del problema.
E’ importante che il medico sia il più possibile empatico e sappia incoraggiare la donna a superare il senso di vergogna legato alla tipologia del disturbo, agli eventi ad esso collegati (traumi, mutilazioni, credenze, altre disfunzioni sessuali), e aprirsi alla speranza della guarigione (Banner, Whipple e Graziottin 2006).
Le pazienti sopravvissute a un trauma possono impiegare un lungo tempo per riconquistare un sufficiente livello di fiducia e sicurezza in modo da riuscire a raccontare ricordi personali spesso imbarazzanti. Il medico dovrebbe verificare con molto tatto l’esistenza di traumi infantili, anche con domande indirette di questo tipo: “Quando è stata la prima volta che si è sentita consapevole delle diverse parti del suo corpo?”; “Quando era bambina, è mai capitato che un adulto desse dei nomignoli giocosi ai suoi genitali?”; “Hai mai giocato ‘al dottore’ con un membro adulto della famiglia, o un conoscente?”; “Che sensazioni ricorda di avere ricavato da questa esperienza?”. In caso di evidenti resistenze inconsce da parte della paziente, può essere efficace parlare dell’evento traumatico come se si fosse effettivamente verificato: questa strategia comunicativa incoraggia la donna a integrare ed eventualmente correggere l’ipotesi del medico, accogliendo il “permesso” di affrontare un argomento così delicato.
Se la donna è di cultura africana, vi è un’elevata probabilità che possa avere subìto una mutilazione genitale, o avervi assistito da bambina, il che potrebbe essere stato altrettanto traumatico. Anche in questo caso, è opportuno che il medico affronti, naturalmente sempre con il dovuto tatto, il discorso come se ciò fosse effettivamente accaduto e aiuti la donna a confermare o eventualmente smentire tale ipotesi, piuttosto che attendere che sia lei a fornire spontaneamente un’informazione così delicata e imbarazzante.
Se in consultazione si presenta la coppia, il medico dovrebbe procedere con sedute sia congiunte che separate. Spesso, infatti, il colloquio individuale può rivelare prospettive ed esperienze che non vengono a galla nella sessione congiunta. In particolare, se la donna per diverse ragioni non si sente più attratta dal partner ed evita volontariamente l’intimità, è bene che possa esprimere tutte le sue motivazioni privatamente.
In caso di forti conflitti di coppia, infine, il medico deve essere consapevole del potenziale “guadagno” secondario derivante dal mantenimento del problema.
La terapia
La complessità dell’eziologia del disturbo di avversione sessuale implica la necessità di un approccio multidisciplinare, con un team terapeutico in cui collaborino un ginecologo, uno psicologo, un sessuologo e/o un fisioterapista (Banner, Whipple e Graziottin 2006).
Se all’origine dell’avversione c’è un trauma (e/o una predisposizione genetica ai disturbi di ansia), si possono ottenere buoni risultati integrando, da un lato, una terapia farmacologica che vada ad attenuare progressivamente il terremoto neurochimico di tipo fobico, che si attiva ad ogni segnale, anche indiretto, di corteggiamento maschile e, dall’altro, una psicoterapia specificamente orientata a “decondizionare”, ossia disinnescare, la risposta di avversione. Questo mix terapeutico offre, allo stato attuale delle nostre conoscenze, i risultati migliori e più duraturi: attenuata decisamente la componente di avversione neurovegetativa, è infatti possibile lavorare con risultati positivi anche sul tema centrale della fiducia.
Più in dettaglio, si può intervenire:
A) sul fronte fisico e funzionale:
- con farmaci che riducano l’ansia e la fobia, come la paroxetina, che allevia i sintomi somatici d’ansia e migliora anche l’umore (in genere depresso dalla memoria del trauma);
- con il movimento fisico regolare, per scaricare in modo naturale la tensione accumulata;
- con lo yoga, che aiuta a regolarizzare il respiro e a sciogliere ulteriormente il nodo di sofferenza;
- con una terapia sessuologico-comportamentale, per recuperare una piena competenza sessuale;
B) sul fronte emotivo: con una psicoterapia individuale, per dar voce al dolore e alla rabbia per l’esperienza subita, così da liberarsene;
C) sul fronte della coppia: con una psicoterapia congiunta che consenta di recuperare gradualmente l’intimità.
Se all’origine dell’avversione c’è un trauma (e/o una predisposizione genetica ai disturbi di ansia), si possono ottenere buoni risultati integrando, da un lato, una terapia farmacologica che vada ad attenuare progressivamente il terremoto neurochimico di tipo fobico, che si attiva ad ogni segnale, anche indiretto, di corteggiamento maschile e, dall’altro, una psicoterapia specificamente orientata a “decondizionare”, ossia disinnescare, la risposta di avversione. Questo mix terapeutico offre, allo stato attuale delle nostre conoscenze, i risultati migliori e più duraturi: attenuata decisamente la componente di avversione neurovegetativa, è infatti possibile lavorare con risultati positivi anche sul tema centrale della fiducia.
Più in dettaglio, si può intervenire:
A) sul fronte fisico e funzionale:
- con farmaci che riducano l’ansia e la fobia, come la paroxetina, che allevia i sintomi somatici d’ansia e migliora anche l’umore (in genere depresso dalla memoria del trauma);
- con il movimento fisico regolare, per scaricare in modo naturale la tensione accumulata;
- con lo yoga, che aiuta a regolarizzare il respiro e a sciogliere ulteriormente il nodo di sofferenza;
- con una terapia sessuologico-comportamentale, per recuperare una piena competenza sessuale;
B) sul fronte emotivo: con una psicoterapia individuale, per dar voce al dolore e alla rabbia per l’esperienza subita, così da liberarsene;
C) sul fronte della coppia: con una psicoterapia congiunta che consenta di recuperare gradualmente l’intimità.
E in caso di menopausa iatrogena?
Se all’origine del disturbo c’è invece una menopausa secondaria a ovariectomia bilaterale, chemioterapia o radioterapia “total body”, una terapia ormonale “su misura” con ormoni bioidentici (estradiolo e testosterone in cerotto) può con gradualità attenuare l’avversione sessuale fino a ripristinare desiderio e piacere.
Sottolineo il concetto della gradualità, perché riportare in equilibrio i neurotrasmettitori cerebrali dopo un intervallo più o meno lungo di “silenzio” ormonale richiede almeno tre-sei mesi di cura prima di avvertire che il corpo risponde come prima dell’intervento. La sensazione di “ritrovarsi”, però, è molto bella. Molte donne, dopo, dicono con gioia: “Mi sento di nuovo una donna”, oppure “Mi sento di nuovo viva” o, ancora, “Adesso che ho ritrovato il gusto di far l’amore mi sembra che tutta la mia vita abbia ripreso colore!”.
Naturalmente, anche in questo caso, è necessario affrontare in parallelo le possibili implicazioni psicologiche che l’asportazione di utero e ovaie può aver comportato sul senso di femminilità e seduttività della donna.
Sottolineo il concetto della gradualità, perché riportare in equilibrio i neurotrasmettitori cerebrali dopo un intervallo più o meno lungo di “silenzio” ormonale richiede almeno tre-sei mesi di cura prima di avvertire che il corpo risponde come prima dell’intervento. La sensazione di “ritrovarsi”, però, è molto bella. Molte donne, dopo, dicono con gioia: “Mi sento di nuovo una donna”, oppure “Mi sento di nuovo viva” o, ancora, “Adesso che ho ritrovato il gusto di far l’amore mi sembra che tutta la mia vita abbia ripreso colore!”.
Naturalmente, anche in questo caso, è necessario affrontare in parallelo le possibili implicazioni psicologiche che l’asportazione di utero e ovaie può aver comportato sul senso di femminilità e seduttività della donna.
Il contributo della chirurgia
La chirurgia estetica o funzionale può essere indicata quando l’evitamento sessuale scaturisca da problemi di immagine corporea, secondari per esempio a risultati negativi di un intervento o a mutilazioni genitali.
Per esempio, le donne che hanno subìto una mastectomia possono aver bisogno di una ricostruzione del seno per ripristinare un’importante componente visiva della loro immagine corporea, anche se la perdita della percezione tattile della mammella ed erotica del capezzolo (totale dopo la mastectomia e parziale dopo la quadrantectomia) può indurre la paziente a evitare gli approcci centrati sul seno (Graziottin 2005).
Similmente, le donne che hanno subìto l’escissione o l’infibulazione possono sperimentare complicazioni urogenitali, e aver bisogno di un intervento ricostruttivo (Banner, Whipple e Graziottin 2006).
Per esempio, le donne che hanno subìto una mastectomia possono aver bisogno di una ricostruzione del seno per ripristinare un’importante componente visiva della loro immagine corporea, anche se la perdita della percezione tattile della mammella ed erotica del capezzolo (totale dopo la mastectomia e parziale dopo la quadrantectomia) può indurre la paziente a evitare gli approcci centrati sul seno (Graziottin 2005).
Similmente, le donne che hanno subìto l’escissione o l’infibulazione possono sperimentare complicazioni urogenitali, e aver bisogno di un intervento ricostruttivo (Banner, Whipple e Graziottin 2006).
Conclusioni
L’avversione sessuale è un segnale importante, un semaforo rosso che si accende sulla via della sessualità femminile. Merita di essere compresa nella sua complessità causale: biologica, psicologica e relazionale.
La terapia è in genere multifattoriale, indirizzata a correggere i diversi fattori che concorrono all’evitamento dell’intimità. La prognosi è buona con un medico esperto, che sappia comprendere e curare la varietà di fattori che si esprimono con questo sintomo peculiare, che può minacciare la felicità personale e di coppia.
La terapia è in genere multifattoriale, indirizzata a correggere i diversi fattori che concorrono all’evitamento dell’intimità. La prognosi è buona con un medico esperto, che sappia comprendere e curare la varietà di fattori che si esprimono con questo sintomo peculiare, che può minacciare la felicità personale e di coppia.
Approfondimenti specialistici
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Ansia
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Evitamento sessuale
Fobie
Rapporto di coppia