La ricerca si basa su un dettagliato questionario anamnestico e una articolata valutazione clinica. E’ stata progettata da me e dal dottor Filippo Murina, dell’Ospedale Buzzi di Milano, e sostenuta dalla mia Fondazione e dall’Associazione Italiana Vulvodinia. Ben il 15% delle donne italiane soffre di dolore intimo: bruciore e dolore colpiscono i genitali esterni (vestibolo vulvare, posto all’entrata della vagina, o l’intera vulva) in modo prima intermittente, poi continuo, con un ritardo diagnostico medio di circa quattro anni e sette mesi. I sintomi sono all’inizio provocati: da una vaginite da candida, che recidiva peggiorando l’infiammazione locale; da un ciclo di antibiotici, che scatena candida e disbiosi intestinale; oppure da un rapporto sessuale, che causa “la sensazione di avere dei taglietti lì”: in realtà microabrasioni, sufficienti a mettere il nostro sistema immunitario iper-reattivo a contatto con gli antigeni della temibile candida. Il persistere dell’infiammazione fa proliferare e superficializzare le fibre del dolore, che trasmettono al cervello segnali sempre più allarmanti per quantità e intensità. Se non si interviene con terapie tempestive e adeguate, l’infiammazione diventa cronica e si estende al sistema nervoso centrale, causando neuroinfiammazione. Il dolore, da segnale amico, causato da un danno da cui l’organismo dovrebbe difendersi, diventa spontaneo, “malattia in sé”. I rapporti sono così dolorosi da essere impossibili. La vita personale e di coppia della donna sono devastate.
Ecco gli elementi più nuovi e utili emersi dalla ricerca: 1. l’importanza della familiarità per il diabete: presente nell’8,4% dei parenti dal lato materno e nell’8,6% di quelli del lato paterno, contro una prevalenza del 5,3% nella popolazione generale di meno di 65 anni. Avere ereditato i geni per il diabete altera già l’utilizzo periferico dell’insulina e aumenta la vulnerabilità alle infezioni da candida, fino a triplicarle. Indicazione pratica: evitare i cibi contenenti zuccheri come il glucosio e il saccarosio; 2. il muscolo che circonda la vagina (“elevatore dell’ano”) è molto contratto nella maggioranza delle pazienti (87,2%). Peggiora il dolore genitale: perché a sua volta infiammato e dolente (“mialgico”), e perché restringe l’entrata vaginale, causando dolore e microabrasioni; 3. questa eccessiva contrazione facilita trauma “biomeccanico” e infiammazione dell’uretra e della base vescicale, con cistiti ricorrenti, che spesso compaiono 24-72 ore dopo il rapporto (“post-coitali”), presenti nel 37,4% delle nostre pazienti (più del doppio rispetto alla popolazione generale). Implicazione pratica: riportare alla normalità il tono del muscolo, migliorandone l’elasticità, per rimuovere la concausa biomeccanica, muscolare, del dolore intimo e sessuale, oltre che vescicale; 4. ben il 43,4% delle donne studiate lamenta che questo dolore distrugge la vita sessuale: perché causa un dolore tremendo all’inizio della penetrazione (“come una coltellata”), perché blocca la lubrificazione e perché azzera il desiderio sessuale, portando all’evitamento dell’intimità; 5. il dato più innovativo riguarda la frequenza delle comorbilità con patologie intestinali, mai riportato prima nella letteratura scientifica: sono presenti nel 94,7% delle donne con dolore vulvare da noi studiate. Tra le comorbilità più rilevanti, la sindrome dell’intestino irritabile, diagnosticata nel 28% delle donne (contro una prevalenza dell’8,8% nella popolazione), della stipsi, presente nel 23,5% contro il 14% della popolazione; delle allergie alimentari, presenti nel 10,1% contro una media fra l’1 e il 6% a seconda degli studi. Implicazioni pratiche: superare una visione iperspecialistica della medicina, per curare meglio.
Ben il 77,4% delle donne studiate aveva dichiarato fallimentari le terapie prima effettuate. L’ottima notizia è che il 90% riporta invece un miglioramento dei sintomi fino alla guarigione con questa articolata attenzione diagnostica e terapeutica. In tempi oscuri, una buona notizia può regalare speranza e un sorriso.
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