Innanzitutto, averlo tardi è improbabile: solo due donne su un milione avranno un figlio dopo i 50 anni, per ragioni in primis biologiche. Diversamente dall’uomo, che può restare naturalmente fertile fino a ottant’anni, la donna ha una fertilità ovarica molto limitata: la stagione biologica dell’oro è intorno ai 18-20 anni; a trent’anni l’ovaio ha perduto circa l’88% degli ovociti, le cellule germinali femminili; a 40 anni, il 97%. I pochi ovociti rimasti sono di scarsa qualità, poco vitali. Ecco perché è così difficile concepire spontaneamente dopo i 40 anni; perché, quand’anche la gravidanza sia iniziata, esita in aborto spontaneo nel 40% dei casi, con un rischio di malformazioni piccole e grandi, alla nascita, di circa l’8%, il doppio rispetto a una gravidanza a vent’anni. Il secondo limite riguarda lo stato dell’utero: con l’età aumenta la probabilità di avere fibromi, polipi, iperplasie, o cicatrici di vecchie infiammazioni, che creano un’impossibilità biologica all’impianto dell’embrione anche più vitale. Il terzo limite è posto dallo stato di salute generale. Se la donna è fumatrice, sovrappeso, diabetica o già ipertesa, aumentano sia le difficoltà di iniziare una gravidanza (anche con fecondazione assistita), sia di portarla avanti senza rischi di serie complicanze anche per il bambino. Dopo i 40 anni, il parto, specie di un primo ed unico figlio, è in genere cesareo. L’allattamento invece non presenta problemi, se la donna lo desidera. Se avere un figlio proprio spontaneamente è difficile dopo i 40 anni, a 50 diventa praticamente impossibile.
La biologia ci pone dunque dei limiti forti, che tecnologia e scienza si entusiasmano oggi a superare. Il problema è “solo” la menopausa, ossia la perdita della fertilità ovarica? Basta ricorrere alla donazione di un ovocita giovane, fresco e pimpante, da parte di una giovane donna (intorno ai 20 anni). L’ovocita viene fecondato in vitro, in laboratorio, con gli spermatozoi del partner (o di un donatore, ma la questione, anche etica, si complica ancora di più) e l’embrione viene poi trasferito in utero. Allora basta trovare una donatrice? Non proprio. Bisognerà che l’utero sia ancora sano e la donna pure.
Resta tuttavia la questione etica più importante. E’giusto per una donna avere un figlio oltre i cinquant’anni? Volere è potere, senza limiti? Sul fronte emotivo possibili seri problemi (con depressione in agguato) possono iniziare al pensiero di “aver dentro un bambino non mio” (geneticamente parlando); se la gravidanza è complicata da malattie; se il figlio non è il “bimbo perfetto” dei sogni. E il bambino? È giusto che abbia una mamma che potrebbe essergli nonna o bisnonna (tra un po’ qualcuna avrà un figlio a 80 anni; a 67 anni il record (in Canada) c’è già stato, con donna morta tre anni dopo la nascita, lasciando orfani i due gemellini che aveva così tardi concepito). Quando finisce il diritto di una donna di “realizzarsi” sul fronte della maternità, per poter dire: “Ho anche un figlio!”, o per riparare sensi di frustrazione e di incompiutezza? Perché non si considera (se non nell’adozione) il diritto del figlio di avere genitori vicini di età, che lo possano seguire fisicamente e affettivamente? Gli uomini hanno figli anche a ottant’anni! si replica. Già, ma con donne di almeno quarant’anni di meno: quindi un genitore giovane e più sano il bimbo comunque l’aveva.
Allora, perché quest’entusiasmo collettivo nei confronti delle gravidanze tardive? Perché l’immagine di una gravidanza felice soddisfa le acque profonde del nostro istinto, programmato per riprodurci (che poi lo si faccia o no, è altra cosa) e del nostro inconscio, che si nutre di sogni, di simboli, e di onnipotenza, non sempre ben orientata.
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